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martedì 11 settembre 2007

Marcello D’Orta e le sue Fiabe sgarrupate!













Ho trascorso interi pomeriggi non più di un decennio fa, appassionandomi, pagina dopo pagina, alle avventure di Frodo Baggins, sin dall’inizio del suo viaggio per le terre oscure di Mordor, accanto ad Aragorn, Sam, Gandalf e il famigerato Gollum ( o Smigoll), tremando con loro al cospetto di figure sinistre come orchi e Uruk-hai, odiando l’ambiguità di Saruman, gioendo per ogni vittoria sul male, incarnato dall’immortale Sauron. In altre parole il più grande capolavoro fantasy mai scritto sino ad oggi: Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Come poi non lasciarsi solleticare dalle nuances similtolkieniane di C. S. Lewis e le sue Cronache di Narnia, un’opera dove fauni, minotauri, streghe, animali parlanti amano, gioiscono, combattono in una dimensione ed un tempo altri, in cui l’eterna lotta tra il Bene e il Male,viene arricchita (a vantaggio del lettore in merito alla godibilità complessiva del testo) da una notevole dose di descrizioni e caratterizzazioni che solo un illustre medievalista come Lewis poteva dare. Insomma, una serie di riferimenti necessari per introdurre un discorso sulla fiaba ( come non considerare gli esempi sopracitati appartenenti al genere in questione), una delle tante facce della letteraturaall’interno della quale solitamente il protagonista per portare a buon esito ogni impresa intrapresa, deve fare i conti con la paura, la truculenza e l’orrore. Prima di giungere al sudato riscatto, è sempre necessario pagare un pedaggio salato. E fare ovviamente i conti con il mito, oggi divenuta un’altra categoria che ha determinato un deciso salto di paradigma sulla cognizione del percepire la fiaba stessa, che sacrifica se stessa pur di diventare racconto puro, assoluto, nonché produzione del proprio corpo di narrazioni mitiche o mitopoietiche nella Storia. Ad esempio nell’odierna produzione letteraria italiana, quest’esigenza di raccontare, creare storie, attraversandole, cambiandone connotati, misurandosi nella fondazione di universi o multiversi mitopoietici, la riscontriamo in opere come New Thing di Wu Ming 1, Perceber di Leonardo Colombati, Neuropa di Gianluca Gigliozzi, Occidente per principianti di Nicola Lagioia. E come nelle fiabe, anche in queste opere prende corpo la vita nei suoi aspetti più decisamente realistici, con la consapevolezza che in fondo anche le nostre esistenze si collocano in un percorso fatto di innumerevoli difficoltà, e che solo grazie alla volontà di riuscire di ciascuno di noi, tutti gli ostacoli possono essere superati (forse…). Anche la famigerata questione della morale trova una sua collocazione in ogni processo narrativo di tipo creazionale: se dovessimo seguire Karl Popper e la sua teoria falsificazionista, sapremmo con certezza affermare che tutta la vita è un risolvere problemi, e che prima di confutare una teoria qualsiasi, occorre verficarne la sua rispondenza logica nei flussi informativi intercorrenti tra premesse e conclusioni ( se si esclude naturalmente l’anarchismo metodologico). Non è forse anche questa una sorta di morale? Ho avuto di recente l’opportunità di imbattermi nell’ultimo lavoro di Marcello D’Orta , dal titolo Fiabe sgarrupate per i tipi di Marsilio. Non molto incline alla tipologia letteraria di stampo umoristico, e non troppo contento dei precedenti lavori di quest’autore ( Io speriamo che me la cavo, Dio ci ha creato gratis, Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso e il Maestro sgarrupato) per un’eccessiva leggerezza di stile e di contenuto, l’opera, in questa sede recensita, sembra possedere una serie di peculiarità che la rendono veramente apprezzabile. A parte la profusione di citazioni colte nell’introduzione, giusto per rendere noto ai lettori l’interesse per la fiaba da parte di grandi personaggi come Jean de la Fontaine, Henry Bergson, Schiller, Freud, appare riuscitissima la detournazione simbolica fatta da Marcello D’Orta sulla struttura narrativa di classici della fiaba a partire da Cappuccetto Rosso, Il Soldatino di stagno, per arrivare a La Bella e la Bestia, Il Gatto con gli stivali, Il Pifferaio magico, e gli eterni La volpe e l’uva, nonché Il topo di campagna e il topo di città e molti altri. Passando così con disinvoltura da Hans Christian Andersen, ai fratelli Grimm, Charles Perrault, Madame Le Prince de Beaumont, Robert Browning, Oscar Wilde, il meno noto Giovan Battista Basile, Esopo, Fedro, e dulcis in fundo Jean de La Fontaine. A voler snellire la museificazione che da troppo tempo ha subito la fiaba, relegata nei sussidiari delle scuole, o come leggenda mito-iconografica ( la mamma o il papà di turno che leggono una fiaba al figlio ogni sera, prima del bacio della buona notte), ci pensa lo stesso autore, che non solo contamina ripetutamente ogni storia con del sano umorismo napoletano, ma si diverte a inserire elementi pop che vanno dai riferimenti cinematografici come la Febbre dell’oro di Chaplin, a Godzilla, ET, ai grandi della letteratura internazionale come Kafka, per non parlare della sottile critica sociale( per lo meno in chiave umoristica) realizzata in punta di penna.. Due esempi potrebbero rendere più chiare le idee. Il primo: “ (…) Il giorno dopo di buon mattino, il pifferaio scese in strada e cominciò a suonare. Intonò un motivo di sua invenzione, intitolato Chella zoccola’ e màmmeta e il successo fu strepitoso. Dalle case, dalle stalle, dai granai, dalle botteghe e dai campi uscirono folle dei topi: grassi e magri, bianchi e neri, vecchi e giovani; tutti insomma, e presero a seguire il flautista”. ( Il flauto magico, pag. 130). Il secondo: “ (…) Una volta un sorcio – ora sapete di che si tratta – ricevette nella sua tana, la visita di un amico, un topo proveniente dalla città. Questi veniva da Londra, dove i roditori sono divisi per classe: alla classe alta – Upper class – i topi di castelli, manieri e palazzi signorili; alla classe media – middle class – i topi borghesi; alla classe bassa – working class – i topi di condomini popolari” ( Il topo di campagna e il topo di città, pag. 161). Oltre la possibilità di definire un lavoro come questo, degno di attenzione, per l’operazione in sé che rappresenta, occorre spingersi su una considerazione a mio avviso necessaria da farsi in merito. Fiabe sgarrupate, contiene tanti e tali riferimenti letterari, filmici, provenienti dal mercato dello spettacolo, da poter essere un generatore di link di senso così ricco, tale da divenire un prodotto editoriale spendibile come libro di testo nelle scuole, fruibile e utile per un sostanzioso lavoro interdisciplinare. In fondo, potrebbe essere un inizio per un modo diverso di pensare la scuola oggi… e sarebbe già un qualcosa!


da www.musicaos.it

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