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martedì 30 ottobre 2007

Guido Ceronetti, La lanterna del filosofo.













Lungo le vie della città, quelle che disegnano lo spazio delle relazioni urbane, seguendo precise meccaniche configurazionali di molteplici flussi informativi fantasma che raccolgono, inghiottendole, storie che puoi più che altro immaginare, ti ritrovi a osservare per pochi istanti, frazioni di secondo forse, particolari che solo con una discreta dose di attenzione non perdi per strada. E così ti collochi all’improvviso nella condizione ideale di essere raccontato da una ruga, uno sbatter di ciglia, uno sguardo intenso schiacciato sotto le macerie di un cielo estivo. Affannarsi a comprendere che cos’è che non va nel mondo, qual è il veleno che circola nelle vene di tutti tanto da scolorirne la pelle, da far perder la gioia di afferrare una mano come segno di partecipata con-presenza, di aprirsi a un sorriso, ad un incauto donarsi nei potenzialmente sconfinati perimetri di uno spazio esistenziale che si apre sull’orizzonte della fiducia nel prossimo, giocare il tutto per tutto prima di scegliere i sentieri impervi, difficili, oscuri, dell’Ombra, sentirsi obbligati, non come infervorati da un dogma di fede ma da un trovare necessario l’essere e il divenire nella storia di ogni giorno agente morale, a reperire quel coraggio necessario nell’affrontare il delicato compito di gestione della massa critica dell’Indifferenza, insomma tentare di
avvicinarsi al nocciolo della questione continuando a porsi degli interrogativi, e compito più difficile, tentando di risolverli. Non quelli sclerotizzatti e museificati del chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando, giusto per non correre il rischio di divenire protagonisti grotteschi di una mediocre rappresentazione teatrale della vita che ci consuma istante dopo istante, giorno dopo giorno e per di più (oltre il danno la beffa!) di pessimo livello e gusto. E di consunzione parliamo, ogni qualvolta ci guardiamo allo specchio! Certo, dobbiamo pure in qualche modo sopravvivere, qualcuno il pane deve portarlo in tavola! E come se non con il sudore della fronte, e come se non rinunciando a passare più tempo con i propri figli, (l’aumento delle ore lavorative giornaliere ha disintegrato la possibilità del dialogo all’interno del micro-sistema familiare, dando spazio ad un nuovo corso nella storia della pedagogia che ha trovato più efficaci strumenti educativi e di costrizione psico-fisica per l’infanzia, nella figura imponente del Silenzio ludico iper-teconologico : Microsoft, Sony, Nintendo) o facendo a meno di leggere un buon libro, o di gustare un tramonto, o una cena romantica in due, o ascoltando della musica facendosi rapire dalle folli traiettorie direzionali delle note, emozionalmente consustanziali alla nostra sensibilità, o ancora semplicemente rinunciando a parlarsi, a fermarsi, a rispondersi. Possiamo dircelo francamente, senza tirare in ballo Foucault e la sua sintassi analitica e pratica circa i modi del Potere di incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, assoggettandone i corpi, e prosciugandoli delle loro forze (vedi Sorvegliare e Punire)! Luther Blissett prima e Wu Ming poi ad esempio in letteratura (solo in essa?) con il riflettere sulla categoria del condividuo hanno aperto una breccia nel sistema di controllo sociale, la prima fase di un progetto di gioia e libertà ancora più ampio e tuttora in progress, proprio a partire dal corpo e da tutto ciò che ad esso attiene rizomaticamente (la riconoscibilità identitaria come strumento di controllo e repressione consegnato nelle mani del Grande Fratello o del Pizzardone Astratto come lo si voglia definire!). In verità, in tanti, tantissimi sono a corto di energie, e presto moriranno dissanguati. L’aspetto fondamentale di tutto un apparato comunitario gestito e fondato su ideali da porcile, è che ha fatto in modo di far cadere nei sottoscala dell’esistenza, l’attaccamento alla vita, alla paura, all’orrore degli sbagli, all’insulto, al crimine, al dissenso, all’impegno, al disimpegno. In una parola non ci facciamo più domande, perché non siamo in grado di reggere la devastante deflagrazione di un ordigno paragonabile solo per gli effetti, ad un’arma di distruzione di massa che corrisponde a un solo nome: Verità! Chi si assume l’onere di intraprendere il viaggio alla Sua ricerca, dovrà essere dotato di così tanto amore per la conoscenza, da avere non solo un endoscheletro in adamianto, ma la possibilità di trasformare la sua superficie dermica in acciaio organico. Ed ecco perché non poteva sfuggire, come bussola in questo contemporaneo regno del caos, il libro di Guido Cernetti, La lanterna del filosofo, pubblicato da Adelphi, che negli ultimi trent’anni ha pubblicato alcuni dei libri più importanti di quest’autore, nonché tutte le sue versioni dei libri biblici e molte traduzioni poetiche, fra cui nel 2004, un volumetto di poesie di Costantino Kavafis, Un’ombra fuggitiva di piacere. Ceronetti apre quest’opera, (che raccoglie tra le altre suggestioni interventi dagli anni ’70 agli anni ’90, tra scritti critici e saggi prefattivi) con un “Ricordaci, Filosofia”, invito esplicito ad un gioco variabile di risorgimenti epigonali, prologo per la Costruzione del Nuovo Soggetto in viaggio a pag. 13 e 14 : “ Ora che il mondo dei non-viventi e dei male-viventi, in un delirio di conoscenze e di onniscienza inseparabili dalla sua condanna alla polvere e all’espiazione ti ha espulsa, buttata fuori dalla casa della coscienza e ti ha costretta a rifugiarti non si sa dove, in luoghi rivelati, perché determinato ad adorare e a servire soltanto degli idoli che hanno radici tra oscuri dannati – ricordaci, filosofia”. Quest’amore per il sapere nel corso del suo dispiegarsi storico, che tanti lutti addusse a noi comuni mortali, talvolta ha infervorato anime, cuori e intelletti di innumerevoli fanatici del pensiero, grandi assassini della ricerca speculativa che hanno sentito il crimine teoretico come pura Necessità, per tanta forza di pensiero. E in carrelata, scopriamo gli scheletri nell’armadio di uno Spinoza, l’assassino par excellence della libertà umana, tanto è perfetto more geometrico il regno di Dio in terra; o la suprema volontà di malattia di quel vampiro di Schopenahuer disposto a non propagare il proprio seme nel futuro della sua discendenza, proprio perché ineluttabilmente sentiva l’intima predisposizione a succhiare il sangue come azione catartica e narcotica alla sua incapacità di stare dritto sulla schiena; e perché no, dulcis in fundo, ci mettiamo in mezzo anche Lutero, un S. Francesco dai titillamenti demoniaci, prodigo e amorevole verso quelle creature di Satana, come i poveri licantropi (Lutero e il lupo, pag. 128). La storia del pensiero come gigantesco contenitore fognario ripieno di merda! E dopo tante illusioni, dopo aver vissuto per tanti anni incatenati in una caverna, avendo pagato, il biglietto per questo immondo teatrino delle ombre, dopo tanti anni passati a dire il rosario davanti al falò della Vanagloria e dell’Autocommiserazione, potrebbe pur uscire un motto di stizza, un rimbrotto senza alcuna traccia di acrimonia, certo, per questa sfigata razza umana, proprio come Goya quando commentava il suo 58° Capricho: “ Chi viva tra gli uomini sarà fottuto irrimediabilmente; se vuole evitarlo dovrà andarsene ad abitare sui monti e anche quando sarà, là conoscerà che il vivere è solo una fottitura” (pag.48). Ma come è possibile allora trovare il proprio centro, quella calma piatta nell’occhio del ciclone, se neanche nell’impero della Filosofia, dove nugoli di arpie si agitano tra i buoni propositi della collettività, regna la quiete? Potrebbe allora, ci dice sottovoce Ceronetti, venirci in aiuto la Poesia, con quel suo fare incantatore, così letale nell’illudere (altro che velo di Maya), nel promettere paradisi fiscali sui sensi di colpa di tanti poeti e poetesse che con la loro testa cinta di alloro e la cetra, lucidano piuttosto lapidi e celebrano altri poeti oramai scomparsi, preparandogli l’altarino, dal momento che più a fondo stanno scavando, mai stanchi, grandi fosse comuni della Memoria. No! Nemmeno la Poesia, può assurgere al ruolo di machine de guerre contro le forze del Male. “ Perché non valgono niente, i poeti, più niente? La malattia è profonda, viene di lontano. Non è soltanto il loro numero insensato: fossero anche tre o quattro in tutto, che cosa cambierebbe nel Disvalore? Neanche la lingua c’entra molto: la spossata vacca Italia ha i capezzoli della lingua morti; mungiamo artificialmente; parole fumano da uno schermo; scambi di rimozioni di ogni vero, i nostri dialoghi: « Oh come stai?». « Ti vedo bene sai?». « Mi separo da mia moglie».” “ La poca umanità degli autori non è il solo responsabile. A volte, di umanità ce n’è, e anche molta; è il bavaglio occulto che è insormontabile. Ci vorrebbe dell’urlo – ma che urlo! Non sarebbe neppure più poesia … No, neanche l’urlo sfugge al bavaglio … Eppure avremmo bisogno di sentire, attraverso la città, l’urlo di qualcuno che interpretasse le pene di tutti, invece che i clacson inferociti e le sirene della forza e del soccorso materiale” (pgg. 55 – 57,58). E non può che essere questa la malattia succhiasangue, la stessa ammorbante l’intero genere umano: il mercato, quello delle grandi corporation, della pubblicità, la macchina macina neuroni del merchandising, a ogni costo, senza se e senza ma, del possesso senza limiti e decoro, del feticismo delle lamiere cromate e dei motori potenti!
“ L’economia rateale riesce a collocare il demente al suo posto di lotta prima che abbia messo da parte il denaro per conquistarselo. Pagando una sola rata, qualunque tristissimo prodotto uterino entra legalmente in possesso di un involucro omicida che può lanciare dove vuole, contro chi capita; adoperare come feritoia o catapulta, spavento di deboli, deposito di droga o di fucili, letto da stupro. Ogni macchina senza occupanti può significare una trappola di superiore efficacia: riempita di esplosivo col congegno a tempo, all’angolo di una strada, davanti a un caffè, a un teatro, a un grande emporio, aspetta l’ora migliore, in cui la folla è più fitta, per far vedere di che cosa è capace l’idealismo umano” (pag.66). Non sfugge il riferimento colto alla filosofia del feticismo da carrozzeria di Ballard e il suo Crash. Ma allora non c’è proprio niente da fare! Dobbiamo aspettare immobili la fine del mondo o la guerra dei mondi che verrà, forse sentiamo come necessaria nella circolazione oceanica della Storia, quella Terza Guerra Mondiale che si combatterà con le clave come diceva Einstein? La premonizione, perché di premonizione e non riflessione si tratta (vissuta in stato di trance) quando Hobbes, sentiva vicino, secondo i tempi della teologia cristiana un semplice sbatter d’ali, l’inverarsi del Leviatano, del Super Stato-Corpo … il mondo delle multinazionali odierno nello star system del mercato spettacolare a ragione può chiamarsi Leviatano! Dovremmo forse passare intere giornate a flagellarci, recitando a cantilena i passi dell’Apocalisse di Giovanni? Ad una prima lettura di questo volume di Ceronetti, ci si sente un po’ preda di certi malumori, sgocciolamenti psicotici inevitabili per chi vive o cerca di vivere oggi, e alla fine quasi vorresti farti venire un sorriso sardonico alla Stirner, perché hai scovato la tana di un nichilista della porta accanto, di quelli peggiori, quelli che hanno nel DNA il distruggere per distruggere. Ma non sarebbe onesto, soprattutto perché Ceronetti consegna nelle mani del lettore non solo una particolarissima lucidità dolorosa di uno sguardo che coglie fino in fondo l’insensatezza e il ciarpame del quotidiano, ma anche una indiscutibile ricetta di lotta, non antidoto perché ci potrebbero sempre essere degli effetti collaterali indesiderati, e per essere ancora più obiettivi un kit di sopravvivenza, quando scrive: “Il tango, il tango, il tango, ci dà la certezza che la coppia umana esclusivamente di amanti ( di amanti senza ombra di famiglia) è iscritta nell’esistenza, che il suo modello ideale pre-esiste a tutto e che su questa terra tale Idea si è fatta, tra abissi di solitudine e di dolore, carne-carne che canta, singhiozza e vola. Come uomo solitario sei fango, ma coppia sei tango” (pag.121). Ed anche se per qualcuno può non essere tango, ma jazz, blues, heavy metal, l’invito all’ascolto, o al saper ascoltare l’altro, è manifesto, chiaro, cristallino, perché dal recupero della capacità di ascolto a partire da una coppia, per poi ad arrivare alla comunità di un paese, di una città, di una metropoli, di una nazione, di un continente, parlare e saper ascoltare insieme, riflettere, sentirsi partecipi di un momento orizzontale di costruzione della democrazia (ce n’è poca in giro) in cui i disagi della vecchietta che vive accanto a me, non mi riguardano! Maledetto imperativo categorico del Dividi e Comanda! Comunque, un libro non solo da leggere e da meditarci in più di qualche occasione, ma un piccolo promemoria da portare ovunque con sé, come una bussola … state certi che non smarrirete mai più la strada!

da www.musicaos.it

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