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mercoledì 11 novembre 2009

L'ANSIA DA PRESTAZIONE BALLA A RITMO DI TANGO. DI ANGELA LEUCCI















“El tango es sueno” di Maurizio Mazzotta parla dell'eterno dilemma che pervade l'animo umano, la paura di essere inadeguati. Maurizio Mazzotta ha colpito ancora. Dopo il libro “Gli uomini delle vigne”, in cui, in un capitolo, i protagonisti si perdevano in un appassionato tango nel bosco, il cortometraggio “Perdizione”, in cui due sconosciuti ballavano un tango nel parcheggio di un supermercato, finendo beffati da due ladri, e il documentario “La musica nei piedi”, che esplorava le mille sfaccettature di questo straordinario ballo argentino, il regista leccese ritorna a parlare di tango. E lo fa quasi da psicanalista con il corto “El tango es sueno”, primo classificato al concorso cinematografico Corto Magliese. La storia è quella del classico sogno ricorrente. Un uomo non riesce a dormire, si agita nel sonno e sogna un incubo terribile, in cui invita una serie di bellissime e fascinose donne a ballare, ma queste gli rispondono inorridite poiché lui è svestito dalla cintola in giù. Si sveglia e si riaddormenta, facendo lo stesso identico incubo. Finché non prende una decisione drastica, che naturalmente non vi raccontiamo, poiché rappresenta l'epilogo di questa narrazione. Il cortometraggio parla della paura di non essere all'altezza, il male dei nostri giorni, e del fatto che quello che dovrebbe essere un piacere, il ballo della passione, diventa ragione dell'ansia di non essere adeguati a certi standard, e la pace interiore è rappresentata dall'adesione al conformismo delle regole della civiltà. La bellezza de “El tango es sueno” è nei particolari: diapositive di tangueri che scorrono sulla testata del letto, introduzione del video nella sfera onirica, l'espressione quasi sperduta di questo protagonista dilaniato dai suoi stessi timori. Ma questo corto è anche divertente, forse perché l'essenza della vita, come afferma Woody Allen, è comica, non tragica, e così non si può non guardare questa storia con un sorriso, rivedendoci un po' di noi stessi, un riso amaro, in cui ci sentiamo estranei, pur essendo, a tutti gli effetti, i veri protagonisti.

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