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domenica 21 febbraio 2010

Altai di Wu Ming (Einaudi, Stile Libero) visto da Dario Goffredo


Amo le belle storie raccontate bene. Le amo con tutto me stesso. Quando mi capita tra le mani un libro come Altai, l'ultimo romanzo del collettivo bolognese Wu Ming, provo un senso profondo di appagamento. Gli uomini raccontano e ascoltano storie dall'alba dei tempi. È nella nostra natura, siamo animali narranti. E Wu Ming dimostra come sempre di sapere molto bene come si raccontano le storie. Circa 400 pagine per parlare, ancora una volta, della storia dalla parte sbagliata della storia. Siamo nel 1569 (Q, il romanzo dei bolognesi ormai entrato nel mito, finiva nel 1555) e ci muoviamo tra Venezia, Ragusa (quella dalmata, conosciuta come Dubrovnik), Salonicco, Costantinopoli, Cipro e Lepanto per seguire le vicende di Emanuele De Zante alias Manuel Cardoso, un giudeo battezzatosi cristiano e poi ritornato giudeo. Ma Altai non è la storia delle vicende personali di Manuel, ex contrabbandiere, ex agente segreto della Repubblica di Venezia, tradito per essere trattato da traditore dalla gente che aveva servito per anni e risorto a nuova vita grazie al nemico pubblico numero uno della Serenissima, il giudeo Giuseppe Nasi, uomo che coltiva un progetto, un'utopia: costruire un regno ebraico, donare al suo popolo la terra santa, un luogo dove regni la tolleranza religiosa tra i popoli. Altai poi ci regala il ritorno di un personaggio a cui sono molto affezionato come, credo, tutti i lettori di Q: quel Tedesco, conosciuto anche come Gert Dal Pozzo, Ludovico, Tiziano l'Anabbatista che ritroviamo sotto il nome di Ismail Al Mokhawi. È invecchiato, Tiziano, è un po' provato dalle sue esperienze passate, ma è sempre lui, con la sua energia trascinante, con la sua lucida intelligenza, con la sua conoscenza del mondo.

Dieci anni fa usciva in Italia Q e tante cose sono successe da allora, tante volte abbiamo pensato a quell'omnia sunt communia che lo caratterizzava, gli stessi Wu Ming ne hanno ragionato a più riprese fino a far nascere questo Altai (e ritardando così il secondo capitolo della trilogia iniziata con Manituana) che lo riprende, lo richiama, ma ne sposta, in modo molto efficace, il punto di vista, l'ambientazione e le conclusioni politiche :

(non farò commenti su questo punto, rischio di dire cose sbagliate come è già successo per Manituana (http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap12_VIIIa.htm).

Aggiungo un'ultima cosa: la bellezza di certe frasi che restano appiccicate addosso a chi legge, la bellezza di certe immagini vivide e, soprattutto, la bellezza della lingua usata sapientemente per rendere quel crogiuolo di civiltà e di popoli che era il mar Mediterraneo nel XVI secolo.

Un libro bellissimo, una prova entusiasmante per il collettivo Wu Ming, giunto ormai ad una piena maturazione artistica che porterà in futuro sicuramente altre storie memorabili come questa. Leggete, meditate e diffondete.


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