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martedì 9 febbraio 2010

Angeli a pezzi, di Dan Fante, traduzione di Marcdo Giovannini e Mary Sellers (Marcos y Marcos). Intervento di Nunzio Festa


Bruno Dante lascia la moglie, ovvero è lasciato da sua moglie, appena esce nuovamente da una clinica dove ormai ritualmente è internato, dopo che tenta il suicidio, per merito dell’alcolismo. Ma questa volta, a parte il fatto che in sostanza la mogliettina lo odia totalmente e lo lascia a se stesso, suo padre, il grande scrittore Jhonatan Dante sta morendo. Dan Fante, figlio di Jhon, ma questa riflessione-precisazione serve solamente a dirci quanto di memoria del padre è serrata nel romanzo, ha composto un’opera degna, ci viene da dire, proprio, appunto, di suo padre. Però, per rendere giustizia a Dan Fante, cerchiamo di dimenticarci della sua parentela. Anche se questa, ripetiamo, è parte forte di “Angeli a pezzi”. Il romanzo, infatti, fra le sue doti migliori ha questo avvistamento a distanza, fatto di memoria e di stima, d’affetto e di delusioni. Dante è fiero, si capisce, del Dante senior. La scrittura di Dan Fante è sottile come un raptus, potente quanto una mossa di ladro, è sicura e si beve d’una serie di sottigliezze che paiono assorbite direttamente dalla ‘scuola’ d’altri padri nordamericani. Che “Angeli a pezzi” è un romanzo che avrebbe potuto firmare qualsiasi altro grande autore di queste lande, con tutto il rispetto con questa bravissima nuova scoperta dell’editoria italiana. “Angeli a pezzi”, dove il rapporto con un padre-simbolo diventa stretto rapporto e contatto con il cane che a questo padre apparteneva, sperimenta le farneticazioni e i ribollimenti inventati dall’alcol. Viaggia sul binario lungo e scodinzolante della solitudine d’una persona che sa d’essere pronto a scrivere per vivere, dopo che è stato un abilissimo venditore di tutto quel che si può vendere. Il protagonista del romanzo, in pratica, è bravo a “fottere” l’umanità, ma allo stesso tempo è bravissimo a “farsi fottere”. Possiede, come altri casi celebri, il destino di voglie sessuali, inoltre, abbastanza ambigue. Anzi, non proprio ambigue. Si dica che il protagonista sente fortemente un forte richiamo spedito da una libidine non conforme a una certa tipologia di ‘normalità’. Bruno, per esempio, è bisessuale. Però non in senso puro. In quanto il suo volere pure corpi maschili è semplicemente una sfida alle regole. Più che una vera voglia o tentazione corporale. Non proprio, insomma, istinto. Alla stregua dei gusti sessuali, o della abitudini, Bruno Dante ama il vino che l’ammazza. Cosa tutt’altro che scontata, poi, il protagonista – forse molto ‘autobiografico’ – custodisce un desiderio di riscatto e chili e chili di consapevolezza delle proprie capacità e della sua sorte. La storia creata da Fante Dan permette alle pagine di girarsi quasi da sole. Le avventure inventate da Fante Dan ci spingono in faccia ad alcuni paesaggi nordamericani, non quelli fatti di tanta natura, comunque, e c’inducono a rafforzare il nostro desiderio d’immaginare gli spostamenti di quelli che di solito i benpensanti definiscono “borderline”. Bruno Dante è una persona che sconfigge le imposizioni, bravo nello sperpero del denaro, è uomo che vuole avere dalla sua storia tutto quanto dovrebbe servirgli per farlo stare in vita - e al meglio che crede. Poi Dante è debole. Però Dante si scontra con i dolori dell’animo. Esattamente alla maniera della stragrande maggioranza degli esseri umani. Dan Fante, con “Angeli e demoni” ricorda a lettrici e lettori che i terreni della dannazione sono ancora pieni di gente che in quelle dimensioni striscia e/o vola. Con il romanzo di Dan Fante è possibile rinnovare un’intesa con le corse delle percezione. A contatto col precipizio. A stretto giro di pericolo insistente. L’uomo comune, il cittadino medio è nuovamente visto bene e male, di male e di bene.


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