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martedì 6 aprile 2010

Le volpi vengono di notte di Cees Nooteboom (Iperborea)













Partire da una fotografia per raccontare i tracciati biografici di persone che sono a noi vicine o perfetti sconosciuti, significa andare oltre una semplice riflessione ad alta voce sui destini che spesso ci sfiorano nella vita di ogni giorno, e che per la maggior parte delle volte rimangono pure entità fantasmatiche di cui non conosceremo mai nulla. Si parte dai simboli e dai gesti quotidiani anche piccoli e insignificanti, per arrivare a costruire un quadro quanto più chiaro possibile di ciò che circonda, vive, respira in una dimensione narrativa che attinge fortemente la sua linfa creazionale dal reale. E’ questo ciò che fa Cees Nooteboom, uno dei più interessanti scrittori olandesi contemporanei, che dopo il successo di "Rituali" e de "Il Canto dell’essere e dell’apparire", torna sugli scaffali delle librerie italiane, e gli auguriamo di trovarsi presto nella top ten dei libri più venduti, con "Le volpi vengono di notte" (Iperborea), opera vibrante e intensa. Si tratta di otto racconti in cui la fotografia è la protagonista a tutto tondo delle vicende narrate in queste pagine, una specie di promemoria iconografico attraverso il quale l’innesco della finzione narrativa sblocca frammenti di vite perdute, vetrificate nel ricordo, nel dettaglio di un particolare. La geografia delle voci presenti si slarga dalla Liguria alla Spagna a Venezia, e l’atto magico che infonde concretezza e vigore a tutto l’impianto è una profonda riflessione dell’autore sul Nulla, qualcosa di cui – sembra suggerirci Nooteboom – tutti conosciamo l’esistenza, ma a cui difficilmente rivolgiamo più di qualche minuto delle nostre riflessioni. Per il grande Borges non si trattava di altro che un effetto dell’attitudine alla perplessità.

Passiamo un po’ in rassegna i ritratti che ci appaiono negli otto racconti brevi popolati da tanta irrequietezza e nostalgia: abbiamo Heinz, console in un piccolo paese della Liguria a strapiombo sul mare che continuamente “smarrisce la strada” in preda ad un eccesso di vitalismo tra litri di gin “anti-depressivi” e il sogno di trasferirsi sull’isola di Tonga; oppure un critico d’arte che torna a Venezia dopo molti anni inseguendo un suo capriccio tra le stelle. A mio avviso però la più bella creatura partorita dall’autore, è Paula, figura sensuale e sfrontata, un tempo iperbolica copertina del patinatissimo Vogue, poi insuperabile giocatrice d’azzardo e femmina fatale che fa perdere la testa a tutti. Una storia dove “l’al di là” perseguita “l’al di quà” senza posa e tregua, quasi a voler dimostrare come in fondo il gesto del dilatare il tempo della morte sia una modalità alternativa e diversa di scrittura della vita stessa. In fondo Roland Barthes diceva che una fotografia rappresenta l’impotenza di dire ciò che è evidente, e la letteratura nasce proprio intorno a un’immagine mancante, a un ricordo ancora vivo. Come non dargli ragione, anzi una sacrosanta ragione!

Cees Nooteboom è nato all’Aja nel 1933. Autore di romanzi, poesie, saggi, opere teatrali e resoconti di viaggi, è anche traduttore di poesia spagnola, catalana, francese, tedesca e di teatro americano. Dopo il brillante esordio a soli 22 anni con Philip e gli altri, ha raggiunto il successo internazionale con Rituali e Il canto dell’essere e dell’apparire. Iperborea ha pubblicato altri sei romanzi, tra cui La storia seguente (che gli è valso il Premio Aristeion della Comunità Europa e il Premio Grinzane Cavour 1994), Il Giorno dei Morti, Perduto il Paradiso. Nooteboom è inoltre vincitore del Premio Europeo di Poesia 2004.

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