lunedì 31 maggio 2010

Il libro del giorno: Per le strade del Cairo di Nagib Mahfuz (Newton Compton)



















Il Cairo, 1942. La seconda guerra mondiale imperversa e i raid aerei si abbattono sulla città seminando il panico tra la popolazione. La famiglia Akif si trasferisce nella zona storica di Khan al-Khalili, dove la presenza di numerose moschee e monumenti rende meno probabile il rischio di bombardamenti. Ahmad accetta con riluttanza la decisione del padre. Quarant'anni, impiegato ministeriale solitario e introverso, Ahmad ha rinunciato a tutto per mantenere la famiglia caduta in disgrazia e da anni vive appartato nella solitudine dei suoi studi e delle sue letture. È affezionato al quartiere benestante di al-Sakakini, dove ha sempre vissuto, ed è convinto che il nuovo, chiassoso rione popolare non potrà soddisfare le sue esigenze intellettuali. Ma il dedalo di viuzze affollate di caffè, negozi di cianfrusaglie e bancarelle di taamiya, i bambini che giocano in strada e gli intensi profumi speziati che aleggiano tra le terrazze apriranno il suo cuore a nuove, inaspettate emozioni e lo porteranno a riflettere su se stesso e la propria vita... Dal premio Nobel Nagib Mahfuz, un romanzo su una famiglia al bivio tra tradizione e modernità; un ritratto nostalgico della città del Cairo, delle sue strade affollate e polverose dove, tra sguardi silenziosi e chiacchiere nei caffè al tramonto, si intrecciano vita e distruzione, amore e morte, disperazione e speranza.

Angeli caduti di Harold Bloom (Bollati Boringhieri)



















Quando parliamo di paranormale ( e procediamo con spirito razionale) facciamo riferimento a tutta una serie di fenomenologie anomale, che secondo la scienza non solo sono inspiegabili, ma addirittura inesistenti, inconsistenti, anti-scientifiche nella loro formulazione di carattere teorico, o se esistenti e manifestantesi sul piano della realtà, spiegabili con le conoscenze che l’attuale livello della ricerca permette all’uomo indagatore. Quando diamo la parola ai parapsicologi essi ci dicono invece che i fenomeni osservati non sono spiegabili scientificamente, ma sono fiduciosi che la scienza possa in futuro fare luce su queste “perturbazioni” fenomeniche. Parliamo di un mondo complesso e pieno di livelli e sottolivelli culturali comunque sotto attenta osservazione ad esempio in Italia dal Cicap, il quale ad ogni modo ha ritenuto ad oggi nessun fenomeno paranormale vero e concreto. Quando parliamo di paranormale parliamo di fenomeni che vanno dai poltergeist, alla bilocazione, alla xenoglossia, agli Orbs, sino agli Ufo. Argomenti a tutt’oggi interessanti e che suscitano ancora dibattito. Ma in questi ambiti possiamo includere anche manifestazioni soggettivizzanti un Io, come demoni o angeli caduti? In merito a quest’ultima categoria è ancora valido parlare di “angeli caduti” come ha fatto qualche anno fa Andrew Collins in un libro edito da Sperling e Kupfer, quando ha parlato dei cosiddetti “Vigilanti", ovvero angeli caduti (una popolazione superiore) vissuti circa 9000 anni a.C., in Egitto? La Sfinge sarebbe per l’autore la traccia più evidente del loro passaggio. Ma al di là di considerazioni più vicine al folklore che ad un necessario scandaglio scientifico, ho letto con piacere uno splendido lavoro di Harold Bloom pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri con la magistrale traduzione di Elisabetta Zevi. Un libro che fondamentalmente è una provocazione nel senso più ampio del termine, sulla mitopoiesi dell'angelo e del suo alter ego in carne e ossa: l'uomo. Bloom porta alla luce una serie di osservazioni brillanti e a volte straordinarie che vanno dalla processione insana e malevola degli angeli (in particolare gli angeli caduti), verso gli inferi per seguire Lucifero, alla tensione trascendente ed umanissima di anelito alla contemplazione del volto di Dio. La catabasi inferica viene spogliata di ogni connotazione negativa, e diviene una parte della verità, che a volte si traveste di enigma e mistero. Un libro che ci presenta per poco più di cinquanta pagine una delle figure più seducenti della nostra cultura, gli angeli caduti per l’appunto, che più di qualche volta sentiamo come vicini a noi, creature finite che peccano e ri/peccano nella speranza di redenzione e ascesa. Libro che richiede in assoluto una lettura pregressa di Milton e Shakespeare. Imperdibile

domenica 30 maggio 2010

Il libro del giorno: Un tipo tranquillo di Marco Vichi (Guanda)





















Una vita normale, quella del ragionier Mario Rossi, contabile in una ditta di imballaggi a Scandicci. Un'esistenza tranquilla, scandita dal tran tran quotidiano, una moglie, due figli, le domeniche in collina o al cinema se piove. Un tran tran che l'ha portato, quasi senza accorgersene, a sessantatré anni, alle soglie della pensione. Eppure, negli ultimi giorni, qualcosa sembra tormentarlo, un'insoddisfazione di fondo, un malumore che nemmeno lui sa spiegarsi, una specie di rabbia, di rivalsa contro il mondo. Ma poi, un venerdì sera qualsiasi, un evento tragico sembra aprire a Mario tutte le porte rimaste chiuse, tutte le meravigliose possibilità prima solo intuite e vagheggiate. E la sua mente si affolla di fantasie, mescolate a episodi dell'infanzia lontana, sempre più pericolosamente vicino a quel confine labile che separa il malessere dall'orrore. Dall'autore del commissario Bordelli, la storia "nera" di un uomo come tanti, desideroso di indipendenza ma condannato a non viverla.

Suerte di Giulio Laurenti (Einaudi Stile Libero)



















«Vivevo sulla corsia di sorpasso e non badavo al panorama che mi sfrecciava a fianco. Ero tutt'occhi per i dettagli, avevo smarrito quella visione d'insieme che ti porta in vetta a un'organizzazione. Un tiro e via. Una transazione dopo l'altra e montagne di soldi all'incasso. Se c'erano ostacoli da rimuovere, li facevo rimuovere da qualcuno dei miei uomini, dei miei soldati. La roba attraversava l'Atlantico e imbiancava l'Europa senza che ormai io realmente facessi più che una decina di telefonate e qualche incontro d'affari».

Anni 80. Le vittime di morte violenta per narcotraffico a Cali sono circa tre/quattro mila. Ilan proprio in quest’anni riesce a mettere in piedi un organizzazione per il marketing della coca più grande al mondo: la prima volta come corriere viene usata la nonna di un suo amico, la seconda volta nei telai di uno stock di biciclette. Loro erano solo “niños”, non potevano essere presi sul serio. Invece erano squali, predatori già in tenera età spietati e senza scrupoli. Passo dopo passo Ilan e i suoi “partners” arrivano a fatturare milioni di dollari. La vita di Ilan Fernàndez, è un’esistenza caratterizzata dalla compagnia costante e terribile della “Signora vestita di nulla”; un’esistenza i cui contenuti per un certo periodo sono stati soldi, coca, orge. Poi il sistema detentivo stritolante a Cuatro Caminos in Spagna e San Quintino in USA. Il declino la rinascita, l’ascesa di Fernandez. Tutto questo e molto di più viene raccontato nel libro di Giulio Laurenti, dal titolo “Suerte” edito da Einaudi Stile Libero, in poco più di un anno. Vicende, volti, storie che sono diventate un romanzo, una narrazione non solo avvincente ma che ha la forza devastante della verità. La cocaina la fa da padrona incontrastata, ma è tutto il contesto che la circoscrive che è atroce, dalla descrizione di un’infanzia violenta a Cali oltre l’estremo (nel libro viene scritto “si inizia con i lividi e si finisce con i buchi delle sventagliate di mitra"), il desiderio titanico di voler riscattarsi dall’orrore e malvagità di un mondo sporco e maledetto, la consapevolezza amara e terribile che l’unico modo per restare a galla è la deriva del crimine, che sradica qualsiasi umanità, la compulsione alla performance a qualsiasi costo. Ilan a soli diciannove è l’uomo della cocaina in Europa, in Sudamerica e negli Stati Uniti. Tutto fila liscio come l’olio, fino a quando un poliziotto non si mette sulle sue tracce, e lo stana a Barcellona catturandolo. Ed è in galera che Ilan partorisce l'idea del marchio DePutaMadre69, mettendo alle spalle il suo passato burrascoso. Ora si dedica al suo brand un invito alla trasgressione certo, ma che non va al di là del divertimento in una notte in cui si voglia dimenticare gli affanni della quotidianità

sabato 29 maggio 2010

Cássio Junqueiraì con il suo Só Poesia (Liberodiscrivere® ed) a Lecce




















Le Ali di Pandora presso Spaziopalmieri30, presenta Só Poesia di Cássio Junqueiraì (Liberodiscrivere® ed) con gli interventi di Cássio Junqueira, Carmen Queiroz, Amina di Munno, Carlo Alberto Augieri, Maurizio Nocera, Mauro Marino. Venerdì 4 giugno, alle ore 20,30 in via Palmieri 30 a Lecce. Nella nuova location dedicata alle arti “SPAZIOPALMIERI30” in Via Palmieri a Lecce, Ali di Pandora propone dunque un’interessante serata sulle note della poesia di Cássio Junqueira apprezzato esponente dei “Novissimos” la nota corrente letteraria brasiliana che ha suscitato l’interesse e l’attenzione della critica nazionale ed estera. Durante la serata sarà presentata l’opera poetica di Junqueira “Só Poesia”, Liberodiscrivere® ed. per la quale il poeta è al momento ospite in Italia, per partecipare insieme a una tra le più celebri cantanti brasiliane Carme Queiroz, al 16° Festival Internazionale di Poesia a Genova. Alla serata interverranno Amina di Munno curatrice della traduzione in italiano dell’opera nonché autrice della prefazione, Carlo Alberto Autieri e Maurizio Nocera. A leggere i testi in portoghese, sarà lo stesso Junqueira lasciando a Mauro Marino le letture in italiano. Carmen Queiroz interpreterà, con voce melodiosa e forte, alcune poesie di Cássio Junqueira incise sul Cd della cantante di cui sarà fatto omaggio a chi vorrà acquistare il libro .

Eu e a amiga doida

(poema sonhado)

tinha uma pedra no caminho;

a gente a fez rolar.

ela rolou e caiu sobre o mundo,

acabou com tudo;

não sobrou mais nada.

a gente sentou

e morreu de dar risada.

depois foi cada um pro seu lado.

a gente faz tudo certo.

a gente faz tudo errado.


Io e l'amica pazza

(poesia sognata)

c'era una pietra lungo il cammino;

la facemmo rotolare.

rotolò e cadde sul mondo,

distrusse tutto;

non rimase nulla.

ci sedemmo

e ridemmo a crepapelle.

poi ciascuno andò via per conto suo.

facciamo tutto corretto.

facciamo tutto sbagliato.

info Ambra Biscuso : 339 5607242/ 0832 391862

venerdì 28 maggio 2010

Il libro del giorno: Le cose fondamentali di Tiziano Scarpa (Einaudi)





















"Stavo camminando sulla sabbia invernale, solida, pesante. Spingevo la carrozzina con te dentro, mi piaceva voltarmi indietro e vedere le tracce che lasciavamo, due rotaie parallele, un binario curvo, con in mezzo i segni dei miei passi. Il mio percorso dentro il tuo percorso, il mio sentiero dentro la tua via". Leonardo è diventato padre da pochi giorni. La nascita di Mario ha ribaltato il suo modo di vedere e sentire le cose, come se una locomotiva avesse sfondato le pareti di casa. Lo osserva attentamente, per quell'intruso che è: un piccolo alieno piovuto sulla terra, un concentrato di potenzialità e vita irriflessa. È affascinato dai suoi occhi spalancati sul mondo, dal suo essere corporeo, insieme inattingibile e totalmente permeabile. Lui pensa a quando Mario sarà abitato dalle parole, a quando i pensieri lo porteranno lontano. Vorrebbe accompagnarlo, o aspettarlo laggiù, nutrendolo a sua volta del "latte nero" della scrittura: "Queste parole, da nere che sono, diventeranno trasparenti, trapassate, trapensate, solo se ci sarai tu che le leggi". Decide di scrivere su un quaderno quello che prova per lui e quello che ha imparato dalla vita: gli racconta le sue storie d'amore e le sue disillusioni, i rapporti con la famiglia, le esperienze più scontate e quelle di cui non si parla volentieri. Ma questo castello di parole è destinato a crollare ben presto, davanti alla più inaspettata e indicibile verità.

“Economia del bisogno ed etica del desiderio” (Pensa Multimedia) di Mario Signore. Interveno di Luciano Pagano



















Il compito più difficile in cui può riuscire la filosofia è quello di risultare comprensibile, cercando di instaurare un dialogo fruttuoso con gli uomini e non soltanto con un gruppo sparuto di accademici dediti alla scrittura. Un traguardo arduo che non sempre è raggiungibile. L'ultimo libro pubblicato da Mario Signore per i tipi di Pensa Multimedia riesce in questo intento, trattando un argomento di estrema attualità, il ruolo dell'etica nella società contemporanea. Il titolo del testo delinea fin da subito l'ambito della ricerca: “Economia del bisogno ed etica del desiderio” (Pensa Multimedia, collana Inter-sezioni, pp. 238, €19,00). L'economia è la scienza che organizza e studia i bisogni del genere umano strutturato in società; l'etica approfondisce le regole del comportamento. Fu Hans Jonas, nel 1979, con la sua opera “Il principio responsabilità”, a teorizzare per primo l'esistenza di un valore etico che travalica la durata dell'esistenza del singolo, rendendo l'individuo responsabile di scelte che hanno conseguenze su coloro che verranno dopo di noi. Un contributo fondamentale alla costituzione di un'etica responsabile è dato dall'Occidente, inteso come luogo dove tempo e spazio hanno dato luogo a una tradizione consolidata che sola può fornire le basi per un'antropologia etica rispondente alle esigenze dell'uomo contemporaneo: “L'Occidente può offrire al dibattito interculturale il risultato più maturo della sua tradizione culturale, etico-politica e religiosa, ripartendo, magari, da quella base filosofica ispirata al concetto aristotelico di essere umano e a quel liberalismo neoaristotelico, per il quale, il fatto che l'uomo si possa definire un «animale con bisogni» è altrettanto importante e fondamentale del possesso della ragione, e richiede che ogni concezione dei diritti, della libertà, della stessa dignità umana debba fare i conti con la condizione di bisogno degli esseri umani”. In questo testo, nel quale non mancano puntualizzazioni storico-filosofiche e 'scorribande inattuali' nella filosofia antica e moderna (da Aristotele a Hegel passando per Montaigne e Marx fino a Zygmunt Bauman), sono contenute diverse riflessioni sulla condizione del cittadino della polis attuale nei confronti della sua libertà di pensiero e azione; le questioni sollevate sono molteplici, non ultima la mutazione, ad esempio, del concetto e dell'applicazione della libertà intesa in senso 'moderno' nel mondo contemporaneo. Questo saggio riesce in un intento, quello di ricucire lo strappo avvenuto sul territorio filosofico dell'etica contemporanea tra il dopoguerra e oggi, integrando le acquisizioni della filosofia moderna alle più recenti istanze filosofiche dell'etica, assumendo diversi punti di vista, che vanno dal religioso e filosofico in senso stretto e approdano fino alla laicità più estrema, passando per l'etica dell'individuo sociale. E se la via di un'etica universalmente condivisa si nascondesse in una trascendenza laica? Come ha sostenuto lo stesso Massimo Cacciari, che oggi presenterà il libro a Salice Salentino, insieme all'autore, l'etica è laica per sua stessa definizione, non rifacendosi ad altro che a un ethos, ovvero sia a una norma di comportamento che si attua nel rispetto della salvaguardia della collettività, ad esempio potremmo difficilmente concepire un'etica che incoraggia all'uccisione del prossimo. Esistono fondamenti dell'etica, quindi, che sono incontrovertibili al di là del nostro credo o non-credo di appartenenza. L'invito è senza dubbio quello di approfondire queste tematiche a partire dalla lettura integrale di un libro come questo “Economia del bisogno ed etica del desiderio”, che offre allo stesso tempo risposte e domande su questioni importantissime dalle quali ogni nostro vissuto non può prescindere. Mario Signore è docente di filosofia presso l'Università del Salento da quaranta anni, con i suoi studi ha approfondito diverse aree della filosofia contemporanea, da Giovanni Gentile a Max Weber, passando per i filosofi dello Storicismo e dell'Ermeneutica. I suoi studi di storia della filosofia, epistemologia, etica della responsabilità e la globalizzazione, tradotti e pubblicati all'estero, costituiscono importanti strumenti nel dibattito delle discipline storico-filosofiche contemporanee.

Il libro del giorno: Saigon e così sia di Oriana Fallaci (Rizzoli)





















"Saigon e cosi sia", dal titolo di un famoso articolo di Oriana Fallaci pubblicato da "L'Europeo" nel maggio 1975, raccoglie per la prima volta in volume i reportage dal Vietnam del Nord e dalla Cambogia (1969-1970), alcune celebri interviste ai protagonisti di quel conflitto e lo straordinario resoconto della caduta di Saigon. Come scrive Ferruccio de Bortoli nella Prefazione, "è l'ideale continuazione di "Niente e così sia", un diario preciso, un racconto fedele. Che comincia con una delusione, cocente. Con la sensazione, dolorosa (quando Oriana sbarca ad Hanoi), che quel Paese avvolto in 'un silenzio disumano' fosse molto diverso dall'immagine eroica e antimperialista che ne aveva gran parte dell'Occidente, e che aveva sedotto anche lei". Quest'opera molto attesa, alla cui preparazione la Fallaci aveva messo mano più volte, ancora nei mesi precedenti la sua scomparsa, completa l'eccezionale testimonianza della guerra nel Sud-Est asiatico. È il governo comunista di Ho Chi Minh a invitare Oriana, nel 1969, dopo i reportage dal Vietnam del Sud pubblicati da "L'Europeo" e tradotti nel mondo intero. La Fallaci incontra il generale Giap, parla con le giovani donne impegnate nella difesa antiaerea, intervista due prigionieri americani. Così come nel Sud aveva condannato la politica estera della Casa Bianca, qui sarà la prima a esprimere posizioni critiche su un regime immobile, cupo, "chiuso a chiave in muraglia ideologica".

A braccia aperte, di Piersando Pallavicini (Edizioni Ambiente). Intervento di Nunzio Festa

















Tanto per cominciare, sappiamo che il vigevanese Piersandro Pallavicini, che tra le sue attività ha quella di dare spazio di segnalazioni letterarie a diversi interessanti autori italiani, non è solamente l’autore dell’istrionico “Atomico Dandy”. Che Piersandro Pallavicini, per esempio, è lo stesso scrittore che per la piccina bolognese Edizioni dell’Arco – proprio quella dei libri distribuiti (per strada) da diversi ragazzi senegalesi e in diverse città italiane - cura una collana editoriale d’italiani che si muovo nella sfera ‘letteraria’ dei migranti. “A braccia aperte”, romanzo agile ma in un certo senso sfrenato che le puntuali Edizioni Ambiente hanno recentemente mandato in libreria, si svolge, innanzitutto tra Parigi e la provincia milanese, non senza echi di Camerun; e tra l’ospedale per il quale il protagonista svolge l’attività di primario, che va a intrecciarsi rumorosamente con i luoghi ameni che i migranti devono frequentare per ricevere un obolo sotto forma di permesso di soggiorno. Dunque, Samuel Badjang, nominato con l’abbreviativo Bad perché gli italiani non sanno pronunciare il vero “Badjang”, nonostante un matrimonio fallito e una vecchia storia che tornerà dalla culla dei tempi e dagli abissi appunto della geografia, è diventato un apprezzato chirurgo, un primario. A parte che le braccia chiuse della società italiana non accettano, alla fine, questo dato di fatto. Però, carriera a parte, a un certo punto il dottor Bad deve mettersi a rifare i conti con gli uffici dei “permessi” e, specialmente, con le leggi del governo della razzista Bossi-Fini. Perché direttamente da quel remoto del quale accennavano prima, arriverà una figlia, la figlia del dottor Bad, Gaelle. Dal Camerun. Che, come è ovvio, e come tanti altri migranti e studenti stranieri dei paesi non comunitari d’Europa, deve riuscire a ottenere la possibilità di stare nell’Italietta dei Berlusconi e dei D’Alema. Fino a recuperare un rapporto padre/figlia. Perché quindi le braccia aperte sono quelle del padre. Non ovviamente quelle brutte storte e respingenti dello Stato Italico. In questo romanzo civile la scrittura di Pallavicini è leggera ma abbottonata al tassametro della burocrazia. Senza impennate. Lineare. Eppure sempre capace di farci ritrovare, oltre al momento dell’inchiesta giornalistica, la malattia atroce che respira al di là di luoghi comuni comunque rappresentanti con una lingua svegliata dal piccolo e dolce letargo del barocco. Per incrociare, a tratti con accenti di ripristino d’un dialogo usato per le prove della normalità, le vicissitudini di campi dove l’immigrazione e i migranti costantemente sono serviti con soprusi.



giovedì 27 maggio 2010

Il libro del giorno: Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realtà di Manjit Kumar (Mondadori)




















Per molti "teoria quantistica" è sinonimo di scienza misteriosa, accessibile a pochi iniziati. Manjit Kumar propone un'avvincente storia di questa fondamentale rivoluzione scientifica che inaugurò l'età dell'oro della fisica e innescò il più grande dibattito intellettuale del ventesimo secolo. Se l'ipotesi avanzata nel 1905 da Einstein, in base alla quale la luce era da considerare una particella e non un'onda, fu capace di mettere in discussione un secolo di esperimenti, il "principio di indeterminazione" di Werner Heisenberg (1927) e il famoso paradosso del gatto di Erwin Schrödinger (1935) dimostrarono l'incompletezza dell'interpretazione classica della meccanica quantistica fino ad allora dominante (la cosidetta "intepretazione di Copenaghen") e aprirono nuovi orizzonti alla ricerca. Come dichiarò Niels Bohr, "chi non è rimasto sconvolto dalla teoria quantistica non l'ha veramente capita". Kumar colloca la scienza nel contesto dei grandi sconvolgimenti dell'epoca moderna e illustra in maniera chiara e rigorosa i termini del conflitto. "Quantum" non solo ci aiuta a capire il ruolo essenziale svolto da figure minori di pensatori e scienziati solitamente trascurati, ma offre anche una lettura irrinunciabile per chiunque sia affascinato da questa avventura della conoscenza umana complessa ed emozionante.

La battuta perfetta, di Carlo D’Amicis (Minimum Fax). Intervento di Nunzio Festa

















D’Amicis, con “La battuta perfetta”, incastra la corrosività di passaggi al colore della satira a passaggi epocali, con “La battuta perfetta” Carlo D’Amicis incide, e avremmo volentieri – a questo scopo – eliminato quei troppo ridondanti “padre” e “figlio”, nel solco assurdo quanto anomalo che racchiude una vicinanza a tratti non visibile fra paesi che sappiamo bene (tipo Pomarico e, soprattutto, la più spaziosa Matera) con Pier Paolo Pasolini e Silvio Berlusconi. Questa volta, il D’Amicis Carlo, dopo aver nuovamente rappresentato il dramma ossessionante di ben due padri, intinge chiacchiere tutte sottratte alle più recenti vicissitudini della cronaca politica e giudiziaria. A ridire bocconi d’un’Italia piccolissima che fu ben annunciata appunto da Pasolini, e che Berlusconi Silvio il padrone suo e anzi nostro spinge sempre più nel baratro; il B. che, per esempio, è così preponderante nell’immaginario tutto individuale delle ‘vittime’ da riuscire a spiegare al suo dipendente più accanito, il protagonista, che lui sarà Silvio I mentre il figlio del protagonista del romanzo, in omaggio al ducetto, verrà battezzato e stramazzato al suo col nome di Silvio. Ma che sarà sempre, per il secondo padre ‘snaturato’, alla fine solamente un Silvio II. Però è il caso di risalire la china d’una trama scorrevole quanto carica di soggettività da conservare per anni. Filippo Spinato, appellato persino Spinato Filo, da maestro elementare a Matera, vivrà scappando da quando nella Città dei Sassi Pier Paolo Pasolini avrà già visto nascere gli stessi “stronzi” d’altri luoghi. Il democristianissimo e raccomandato, da un vescovo, Spinato è dunque assunto alla Rai. Il fatto è però che Filo Spinato è, appunto, meno simpatico e sicuramente più austero del filo spinato. Tanto da, per esempio, in contemporanea riuscire a devastare mentalmente una moglie che alla fine addirittura lo tradirà e nel lavoro essere più duro della censura mussoliniana. Infatti, l’ultra-bacchettone Spinato alla Rai, dall’alto della sua cultura e intransigenza di costume, vorrebbe bloccare l’ormai arrembante processo di spregiudicatezza del piccolo schermo. Lo Spinato, nonostante i DC raccomandati siano tantissimi, è solo soletto in una battaglia che appare anacronistica. Nel frattempo, il figlio Canio, che da bambino è da adulto sognava di far ridere la gente, diventa il ghost-writer delle battute dell’imperatore B. Oltre a diventare pappone di donne e donnine, d’altre vittime che incarnando il potente che può decidere se mandarle o no in video le chiama ad avere rapporti sessuali con lui. E Canio Spinato, infine, sarà sentito da un magistrato che in realtà è una sua ex compagna di scuola. Quella che in una grotta del Sasso Caveoso aveva impersonato per fare fesso un altro compagno. Lo stesso compagno cavia che poi si suiciderà. Proprio la stessa che anni prima aveva incontrato in un altro tugurio, ma di Pomarico quella volta, nel mentre lui per la festa patronale era arrivato all’esibizione prima da comico e su palcoscenico pubblico. Canio Spinato è brutto quanto il padre. Spinato figlio non riesce, infine, a essere padre. Pareggiando i conti col padre suo. La tragedia contenuta nel nuovo romanzo di Carlo D’Amicis è quasi speculare alla satira, a quei brandelli di comico che vengono fuori da pagine davvero divertenti e a tratti leggere. Oltre, ovviamente, alla corrosiva forza delle spesso non bellissime barzellette che inventerà non a favore della società. Ma contro di questa. A servizio, quindi, del capo. “La battuta perfetta” legge l’attualità per tracciare nel passato non proprio recente fili che stordiranno il futuro. La scrittura di D’Amicis, qui somigliante molto a quella di Cappelli, sperimenta più linguaggi per cedere al linguaggio comune dei tempi nostri. Che, al termine dell’opera, avrà per giunta accantonato i problemi della lingua stessa.


mercoledì 26 maggio 2010

Il libro del giorno: La casta dei radicalchic di Massimiliano Parente (Newton Compton)





















C'è una "casta" nella cultura italiana? Tra i cosiddetti intellettuali "liberi", gli opinionisti televisivi, i critici per tutte le stagioni? Secondo Massimiliano Parente sì. Questo libro è uno spietato manuale di sopravvivenza per difendersi dalla mediocrità culturale, quella dei romanzi che invadono le librerie e le recensioni, quella che impoverisce il cinema, la musica, la televisione, la destra e la sinistra. Lobby mediatiche si danno battaglia, fingono rivalità inesistenti, e di nascosto si mettono d'accordo per non pestarsi mai i piedi. Un'ignoranza arrogante e contagiosa che l'autore attacca con lucidità, cinismo e distaccata ironia. Dal Premio Strega a Sanremo, dai David di Donatello alla Biennale di Venezia fino ad arrivare all'Isola dei Famosi. Questo libro è una vera cassetta degli attrezzi per denunciare i personaggi di cartapesta, i vecchi cliché elevati a sistema di pensiero, gli alibi, le scuse, le autoassoluzioni di figure che vorrebbero essere tutte diverse e invece sono tutte uguali. È anche un viaggio esilarante dove scopriremo dizionari per riconoscere i trucchi e le paraculaggini in trasmissioni di successo come Annozero di Michele Santoro. Massimiliano Parente, scrittore politicamente scorretto, ci guiderà nel provincialismo culturale del tragicomico Paese nel quale viviamo: cialtrone, snob, ipocrita e finto-buonista.

Andrea Inglese a Lecce all'Università del Salento




















Lunedì 31 maggio, presso l’Edificio Codacci Pisanelli dell’Università del Salento – Aula Ferrari, I piano, inizio ore 9 e 30 – si svolgerà un seminario sulla poesia contemporanea a cura di Fabio Moliterni e con la presenza di Andrea Inglese. Sono tutti invitati a partecipare, si tratta di un incontro con un autore ‘giovane’ che ha molto da dire (e da ascoltare) sui temi centrali della cultura letteraria italiana di oggi: la responsabilità etica, o politica, o civile dello scrittore – e del lettore; lo stato di salute della poesia contemporanea, nel rapporto con l’editoria e con l’idea dominante di letteratura; le prospettive di una scrittura ‘di ricerca’, tra prosa, poesia e altre espressioni possibili. A partire dalle 19 e 30, presso il Padiglione Chirico del Monastero degli Olivetani, l’autore terrà un workshop su “Poesia e nuove scritture”. Il workshop è a numero chiuso (max 15 persone) e in accordo con Andrea Inglese prevede un lavoro di gruppo di tipo laboratoriale su testi dell’autore e dei partecipanti, ma anche su quelli di altri scrittori contemporanei. È un’occasione per un confronto, né più né meno: nessuna lezione di scrittura creativa, invece un dialogo – un lavoro – per riflettere e fare il punto sulle possibili idee di letteratura e sulla pratica responsabile di una (possibile) scrittura di ricerca.

Andrea Inglese è nato nel 1967: filosofo di formazione, è considerato uno degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea. Ha pubblicato un saggio di teoria del romanzo dal titolo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003); i libri di poesia: Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano a cura di F. Buffoni (1998), Inventari (2001), Colonne d’aveugles in edizione bilingue con traduzione (2007), La distrazione (Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009); le raccolte di prose Prati nel volume collettivo Prosa in prosa (Le Lettere, 2009); e Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001 (La Camera Verde, 2010). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei fondatori del blog letterario Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com) ed è tra i redattori di http://gammm.org.

martedì 25 maggio 2010

Quando non ci sarò di MariaViteritti (LUPO Editore). Intervento di Donatella Neri




















Primavera 2100. Elisa è in classe alle prese con una versione di latino, materia che lei conosce poco perché nella scuola precedente non lo studiavano, ma che nemmeno le interessa molto, visto che morirà presto, come dice la data incisa dal laser sul suo tallone.

Real, adolescente sognatore, ha aspettative di vita ben più lunghe; forse anche per questo ha deciso di cimentarsi a modo suo con L’albero della Vita di Klimt, visto che la sua passione è dipingere.

Elisa alias Artemisia (come firma sul blog i suoi “racconti al Lexotan”) e Real alias Lario (autore di curiosi personaggi che appaiono in rete) si imbattono l’uno nell’altro in modo fortuito, ed è un incontro di anime e di cuori, un amore che si traduce in sfida.

Dopo il successo di Al di là del muro, Mary Viteritti ritorna a Bologna in un futuro prossimo per parlarci di un mondo in cui l’efficienza socio-sanitaria è tutelata da un marchio di scadenza impresso sugli esseri umani come sui prodotti di consumo. La società è impregnata di arido laicismo e ognuno è chiuso in se stesso, se ha qualcosa da nascondere: ad esempio, una scadenza troppo vicina per poter essere un investimento affettivo per qualcuno, ma anche la capacità di creatività e di poesia.

Un’altra splendida storia di una scrittrice che ha il coraggio di guardare a un certo futuro come ad una terribile possibilità e sa trasformare la narrazione in un messaggio di speranza. Un romanzo mirato ad un lettore adolescente per intensità e messaggio etico, ma anche una lettura appassionante per tutti coloro che apprezzano le trame coinvolgenti e una bella penna.

Il libro del giorno: La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro di Gino Roncaglia (Laterza)




















Se la scrittura si avvale già da tempo degli strumenti offerti dal mondo digitale, la lettura - e in particolare la lettura di libri - è rimasta finora legata prevalentemente ai supporti cartacei. Quando pensiamo a un libro pensiamo ancora, come nei secoli passati, a un oggetto composto di pagine di carta, stampate e rilegate. Ma l'introduzione di libri elettronici e biblioteche digitali, la diffusione di tecnologie come la carta e l'inchiostro elettronici, o di dispositivi di lettura come il Kindle di Amazon, il Nook di Barnes & Noble e il chiacchieratissimo e ancora misterioso iPad, sembrano destinati a cambiare le nostre abitudini e il mercato librario. Il mondo della lettura si avvia a conoscere una rivoluzione che molti ritengono per ampiezza e importanza paragonabile all'invenzione della stampa. Una rivoluzione al cui interno non è affatto facile orientarsi. Dove sta andando, il libro? È veramente minacciato? Le nuove tecnologie rappresentano per la cultura del libro un pericolo o un'opportunità (o entrambe le cose)? Di quali competenze abbiamo o avremo bisogno, per poter continuare a scrivere, a pubblicare, e soprattutto a leggere?

Quello che i mariti non dicono di Bal Efe, Berbenni Stefania (Mondadori)



















"Non dico tutti, ma quasi tutti gli uomini, vogliono provare l'esperienza del trans, far girare adrenalina nelle vene sclerotizzate dalla routine. Se penso a chi è passato dal mio letto - avvocati, manager, operai, ragazzi, commercialisti, creativi, baristi, imprenditori, ignoranti e laureati - alla fine sono tutti uguali quando sono qui a casa mia, liberi di chiedere ciò che vogliono perché pagano”. L’eterna lotta tra mister Hyde e il compassato dottor Jekyll si sostanzia tra le pagine di questo libro, quasi fosse obbligatorio e del tutto normale, anzi consueto, per un uomo ai nostri giorni, voler esplorare certe zone d’ombra della sessualità, ovviamente continuando la barocca recita del bravo maritino, o della dolce metà tutta casa e chiesa. E proprio non molto tempo fa ricordiamo per un’insana associazione di idee dopo aver letto questo libro, le cronache di tutti media nostrani che hanno fatto esplodere il caso Marrazzo, generando un vespaio di inquietanti interrogativi da tenere rigorosamente e assolutamente privati, perché a dirli la vergogna sarebbe più pesante dell’essere messi alla gogna: Perché? Perché gli uomini, così tanti poi, anche insospettabili, vanno con le/i trans? Quali sono le prestazioni che richiedono questi maschi ai/alle trans, per risultare così desiderabili, così sessualmente appetibili? Efe (che ha scritto “Quello che i mariti non dicono” per i tipi di Mondadori) è il/la trans più famosa/o e desiderata/o d'Italia. Oltre i duemila uomini, sono stati oggetto delle sue attenzioni/prestazioni, in maniera totalmente e sinceramente democratica e perfettamente costituzionale, proprio come sostenuto dal pilastro dell’art. 3 della nostra Carta, circa la rimozione degli ostacoli di razza, credo o posizione sociale. Per Efe questo è assiomatico in ambito sessuale, kantiano forse. Fondamentalmente questo è un libro schietto e sincero (editing o ghost writing a parte) che racconta le esperienze di questo attore sociale trasversale rispetto a generi e connotazioni, senza la benché minima intenzione di voler necessariamente scandalizzare, ma quasi con la delicatezza di un pettegolezzo al femminile da dirsi in un bar del centro mentre fuori c’è traffico e stress. Una cosa è certa: ne viene fuori uno spettro di situazioni e tipologie maschili sicuramente sorprendente, ma non certo incoraggiante. Anche se il libro non risponde alla domanda del perchè gli uomini sposati vanno a trans c’è da dire che tutto il libro può essere letto come un felice prodotto di costume, un ulteriore tassello per stordirsi dalla crisi che ci attanaglia le viscere, e che sortisce l’effetto di un tonicizzante anti-depressivo rispetto alle solite seratine della nostra piccola povera patria

domenica 23 maggio 2010

Il libro del giorno: La nostalgia languida dell'Ombra di Fabio Cerretani (Edizioni Ilisso). Intervento di Sergio Pent *












La provincia è lo specchio dell’anima.. Da Simenon a Prisco, da Faulkner ad Ammaniti, spulciando alla cieca tra Italia e altrove, tra classici e contemporanei, possiamo evidenziare il disegno narrativo di un luogo geografico-psicologico essenziale per delineare le sotterranee perversioni delle esistenze di confine. Una marginalità che sovente si fa cronaca da Cogne a Erba, per rimanere nel campo delittuoso e che riesce quasi sempre a concretizzare enfaticamente ciò che l’istinto svelto e soffocante delle metropoli mette in scena in un continuo, delirante, anonimo caos di gruppo. La provincia centellina, osserva, deride e decide. E tutto ciò che accade, da cronaca diventa Storia, memoria, in un contesto spesso anacronistico, paradossale, in cui lo spirito umano trova comunque le più favorevoli congiunzioni astrali del peccato, sia esso ludico o assassino.
Fabio Cerretani ha l’animo del provinciale di lusso, che contempla l’umanità in transito della sua epoca e ne coglie gli umori più intimi, malinconici o depressi. La fortuna di un narratore si gioca spesso, quasi sempre, sulle convenienze e sulle scommesse editoriali. Nella sua sordina, Cerretani è rimasto finora un narratore appartato e poco visibile, com’è tipico di chi si muove da indipendente sul terreno delle majors. Editori piccoli ma attenti gli hanno permesso di entrare in punta di piedi in libreria, anche se i suoi romanzi curiosi, emozionali, severi e scritti con lucida parsimonia non hanno finora trovato i meritati riscontri. Questione di stile? Non diremmo, visto che lo stile di Cerretani è assai più levigato e insinuante ad esempio di quello di un Andrea Vitali, che sta vedendo invece lievitare in classifica le acque del suo lago. Semplicemente, se mancano le giuste sponsorizzazioni, si corre come sempre il rischio di stazionare in un limbo di belle scritture ignorate dal pubblico. Spesso anche dalla critica, complice l’overdose ormai quasi letale di novità in libreria. Le ragazze del Delta e Finis terrae segnavano, ciascuno a suo modo, tappe già fondamentali per misurarsi con la capacità di scrittura di Fabio Cerretani. Tra memoir sentimentale alla Cassola e spruzzate gogoliane, i romanzi tracciavano un percorso esemplare della narrativa di questo autore appartato, alla ricerca di belle storie più che di scommesse azzardate o ammiccamenti sperimentali fortunosi. La nostalgia languida dell’ombra è un discorso ancora diverso, ma l’animo provinciale rimane in primo piano, con tutte le ironie e gli intoppi del caso. Dal delta del Po alle derive metafisiche di Finis terrae, arriviamo alla paciosa provincia umbra di un 1966 segnalato a vista dall’autore, poiché potrebbe benissimo trattarsi dell’altro ieri, nell’ambiguo e ricorrente gioco di tradimenti ed equivoci che portano infine come spesso accade nei deliri dei sensi all’omicidio. I personaggi, caratterizzati quasi sempre da nomi emblematici, ricoprono ruoli di confine in un contesto sociale bizzarro e bizzoso, dove tutto si gioca all’insegna di una grandeur sui generis, come se i destini dell’umanità dovessero dipendere dal chiacchiericcio irrisolto dei diversi interlocutori. Davide Golia, un nome un destino. Protagonista smorto e asettico, il classico “uomo dal vestito grigio” che attraversa il suo tempo in sordina, il mite insegnante di lettere presso il Liceo Classico “Sallustio Amedeo Brandini”, riveste invece un ruolo determinante nello scompigliamento di carte che porta alla morte della collega Cecilia De Maria, tracagnotta arrapante che ama sollazzarsi in amene scappatelle extraconiugali. E’ qui, in questa ironica visione di una provincia buzzurra e velenosa, che a tratti rammenta il geniale film di Germi “Signore e signori”, che si gioca la partita del romanzo di Cerretani, nato come commedia di costume provinciale e dirottato dall’autore sul versante di un noir quasi surreale. La vicenda minima, più grottesca che sensuale, del rapporto fedifrago tra il pavido professor Davide Golia e la vorace Cecilia, serpeggia infatti al di sopra di un sotterraneo contesto strapaesano in cui i notabili della cittadina umbra complottano per spartirsi i proventi della vendita di preziosi reperti etruschi rinvenuti da un rozzo tombarolo nel dedalo di gallerie dei dintorni. Malaffare in giacca e cravatta, sesso spicciolo e deprimente, tradimenti, ripicche e rancori, generano il disegno di una comunità bislacca ma perfida, dove è sempre il più debole a soccombere. Si lascia ovviamente al lettore il piacere di scoprire i piccoli, meschini segreti che covano sotto la cenere dei camini di provincia, ma è necessario rilevare come l’arguzia del narratore riesca a dirottare la trama verso un consapevole disegno di denuncia morale. La grettezze dei diversi personaggi in quel 1966 segnato da piovaschi sempre più dirompenti sfociati nell’alluvione di Firenze si riflette sulla nostra contemporaneità e sui nostri mali più di quanto non si creda. Figurine di un passato quasi remoto, stanno lì a significare malevolenza, invidia, arrivismo, indifferenza alle sorti del prossimo. Proprio come adesso. In questa dinamica da commedia con delitto, il romanzo di Cerretani svolge un suo ruolo sulfureo, a tratti landolfiano, nel delineare l’ottusità arricchita e potenzialmente delittuosa del contesto sociale, in cui ogni dettaglio deve sempre rimanere uguale nei secoli dei secoli. In un mondo di ancora ferventi campanilismi, non c’è tregua né compassione sotto il campanile in cui il povero professor Golia e la sua malcombinata amante trovano il loro unico, tragico punto d’arrivo.


(*) = Scrittore (“Il custode del Museo dei Giocattoli”, Mondadori 2002; “Un cuore muto”, e/o 2005; “La Nebbia dentro”, Rizzoli 2007) e critico de “La Stampa Tuttolibri”. Contenuti del post ricevuti dalla casa editrice Ilisso

Sabbia, di Paul Muldoon (Guanda ). Intervento di Nunzio Festa



















La notorietà di Muldoon, soprattutto fuori dall’Italietta che sappiamo e dobbiamo mai scordare, è sempre più grande. Ma, grazie a “Sabbia” sappiamo che ogni ‘complimento’ e tutte le parole di stima e rispetto dirette a uno dei maggiori poeti del nostro tempo sono anche pochissima cosa rispetto al valore reale che s’apprendere verso su verso, verso in verso. Di poesia dentro poesia. Perché, tanto per fare iniziazione con le paroline spicciole e spiccianti, la poesia, anzi tutto il corpo poetico di Paul Muldoon è pieno d’altre liriche, d’altri poeti fratelli dell’autore irlandese. Ovviamente questo non è che un dettaglio. Muldoon è moderno e classico in quanto contiene nelle stesse parole la terra senza lampi e i lampi della letteratura, la storia priva di retorica e la retorica delle storie di donne e uomini come di paese e città e campagne. Con Sabbia, d’altronde, P. Muldoon ha ottenuto il Pulizer nel 2003. Già dal titolo, nonostante si debba andare meglio a vedere l’originale, è possibile capire qual è il contesto se così davvero si può dire – e a maggior ragione per il poeta che è Muldoon. L’analisi della lingua, la teoria per così dire sui termini e sulla terminologia utilizzata dal poeta nordirlandese, devono far affermare senza ombre di dubbi e paura d’illustri smentite che Muldoon è ugualmente in grado di sconvolgere mettendoci di fronte al chiarore della rima, alla purezza del verso libero estremo, all’imperiosità del taglio netto ove è necessario. Impastata, per servire i temi a lui più cari, la spensierata scorrevolezza d’accenni di versificazione discorsiva, accesa da picchi d’evocazione ritmata al fumo d’un’epica mai ma proprio mai stucchevole. Andiamo a scoprire, però, dove la ‘regola’ è rotta. Dove l’evasione da uno schema che non è schema né gabbia, per esempio, si fa evidenza di passaggio letterario. Piano sentiamo, allora, “Lo spaccone”: “Voleva farti credere di aver succhiato / il leggendario sesto dito della fetta / di una sosia di Marilyn Monroe giovane, // e che il maritino si fosse un po’ incavolato / scoprendoli sul sedile posteriore di quel catorcio. / Gli altri giornali prendano nota”. Per continuare, con “La sosta”: “Pensa a questa lapide / come a una sedia bassa e lunga / piazzata strategicamente / sul pianerottolo di una scala”. Non a caso abbiamo scelto questi due componimenti. Non a caso due poesie brevi, fra le più brevi e frammentate del poeta. Che, ma solo apparentemente, spezzano il filo dell’opera. E che invece sono la prova d’omogeneità. Nella prima lirica ci si nutre d’una rapsodia in tono minore, una scansarsi del verbo che deve intercettare l’immagine creata in principio di chiusa. Mentre nel secondo tempo poetico, Paul Muldoon, più che chiaramente, liscia il terreno sempre soffice d’un pensare oltre il vaghissimo ruggito della morte, scherzando effettivamente con questa. E sappiamo che amore e morte sono le tematiche della vita. Per lo meno del suo frangente letterario. Si legga Muldoon, infine, nonostante si debba nel contempo, oppure forse proprio per questa ragione ancora più specifica, riconoscere maggiormente quel maestro Sanguineti di “Ideologia e linguaggio”. In questi giorni che spremono il suo abbandono definitivo e infinito. In questi giorni che un Sanguineti letto da Muldoon o un Muldoon che legge Sanguineti ci fa innamorare costantemente delle poesia.


Il libro del giorno: Giro d'Italia. Gli eroi della bicicletta (Mattioli 1885). A cura di M. Ballestracci

















La volontà di rinascita espressa nell'organizzare il Giro d'Italia del 1946, su strade che portavano ancora i segni dei cingoli dei carri armati, non era stata un'illusione. Questa è la storia di quegli anni: Bartali che sconfiggeva Coppi per 47 secondi, nel 1947, Coppi che distanziava Bartali di un minuto e 43 secondi, nel 1948, Magni contestatissimo vincitore davanti a Cecchi per 11 secondi con Coppi che si ritira per protesta dopo aver vinto la Cortina Trento scalando in solitudine il Falzarego e il Pordoi. Ognuno di questi uomini corse a lungo anche nel futuro, a segnare un'epoca fatta di italiani che aspettavano Bartali, seduti sui paracarri, scalpitando dentro ai sandali, soltanto per veder quel viso triste da italiano allegro.

"Scendo. Buon proseguimento" di Cesarina Vighy (Fazi editore). Intervento di Elisabetta Liguori














Mentre leggi non lo diresti affatto che Cesarina Vighy sia morta. In questo suo ultimo epistolario “Scendo. Buon proseguimento” edito da Fazi, sospeso in una sorta di terzo luogo, tra vita e morte, la Vighy strappa due anni di sano pensiero al suo nemico per consegnarli ai suoi lettori. Il suo nemico è una malattia “ cronica e degenerativa” detta SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), per molti sconosciuta, per altri inspiegabile, balzata agli onori della cronaca grazie ad alcuni casi eclatanti. Un morbo oscuro (un sasso lanciato alla cieca da un cavalcavia come lo descrive l’autrice) capace di annientare progressivamente i moto neuroni presenti nei muscoli umani e quindi ogni funzione motoria (camminare, respirare, deglutire) lasciando intatte quelle intellettive.

Che sia la letteratura a rivelare questo terzo luogo addolora e rallegra allo stesso tempo. La letteratura come poche altre scienze sa adattarsi. Non soffre di rigidità, di preconcetti, non teme il futuro e dell’ignoto si nutre. Forse per questo la voce della Vighy ci arriva da un altrove imprevisto, eppure chiara e libera da interferenze. La sua verità così intima e dolorosa, diventa pubblica senza essere oscena. La sua, coltissima, ironica, fanciullesca, è la voce di chi conosce una verità terribile e la vive con grande dignità.

E ne ride. Si dice che ogni risata avvicini a Dio, ma quelle di Cesarina Vighy non sono nient’affatto divine. Hanno l’odore dello zolfo infernale e il brio geniale di certe antiche biblioteche. Custodiscono un’anima forte ma non garantiscono la salvezza eterna. Sono moderne, se non addirittura post moderne, per estro, insolenza e capacità divinatoria. Linguisticamente rapidissime in sprezzo alla lentezza fisica della sua portatrice. Non uccidono ma ridicolizzano la morte, annunciandola. Sono carezze e schiaffi. Gentilezze finali, destinate alle persone più care. L’amata figlia soprattutto, l’altra donna, quella con la quale ogni madre si confronta sempre con tormento e che desidera come e ben più dello specchio di Biancaneve.

“A volte me lo svuoterei con un cucchiaio il cervello, per metterci dentro roba buona e fresca” scrive l’autrice di sé, quando il brulicare dei suoi pensieri si fa troppo intenso, ma sono solo momenti. Per il resto del percorso la sua scrittura resta quella di un grande autore: incontro felice di personalità, struttura e lingua. Affermazione condivisa e strenuamente difesa del sé. Solido filtro di un io che ha vissuto la propria esistenza con intensità e tenta di offrire la sua visione del mondo, la più completa e onesta possibile, benché rinchiusa nel recinto delle sue quattro mura e pur servendosi del solo ausilio tecnico di alcuni gatti, un marito sorprendentemente devoto e un albero da giardino. Una visione completa forse proprio perché offerta dal limitare dell’abisso, confine ardito proibito ai più, lungo il quale vibra solo il barbiglio di un onesto, pungente, determinato e progressivo rodarsi del pensiero.

sabato 22 maggio 2010

Il libro del giorno: Quando cade l'acrobata, entrano i clown. Heysel, l'ultima partita di Walter Veltroni (Einaudi)





















È notte. Un uomo è sul terrazzo di una stanza d'albergo sul mare; è qui per festeggiare il suo decimo anniversario di matrimonio. La donna dorme. L'uomo ripensa alla loro storia d'amore, a una relazione costruita sulla sincerità. Ritorna con il pensiero agli anni trascorsi e a un'unica bugia: un viaggio. Aveva mentito sulla destinazione, per vedere una partita di calcio: la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, a Bruxelles. L'uomo ripensa a quella partita, allo stadio malandato dove si svolgeva, l'Heysel. Ritorna al dramma di una vicenda che doveva essere allegra e giocosa, grandi e bambini insieme per condividere una passione. E che invece era diventata una battaglia, un insensato perdersi della ragione nella cecità della violenza. La parola Heysel avrebbe da allora significato morte: trentanove morti e seicento feriti innocenti. Una strage immane per una partita di calcio, una ferita aperta e non più rimarginata. Nonostante la strage fosse già consumata, si era deciso, per motivi di sicurezza, di giocare egualmente. Una narrazione lirica volta a ricordare una strage assurda, che ha stravolto tutto ciò che di positivo lo sport rappresenta. Tutto, attraverso lo sguardo commovente di una storia d'amore.

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