Nel suo ultimo romanzo, “ La Vita oscena” Einaudi 2010, Aldo Nove, scrittore di culto ritornato al pieno splendore, ci porge a piene mani poesia e pornografia. due realtà identicamente proibite, crudeli, sconfinate. Siamo di fronte ad una autobiografia, questo va detto subito, perché ciò che osceno può esserlo solo se oltre che raccontato è anche vissuto. Oscena è anzitutto la pelle, infatti, a volte dopo lo diventa anche la parola che la descrive. Si tratta comunque di una biografia romanzata, in cui, nonostante il fuoco dell’esperienza, sopravvive l’artificio narrativo. Qui la lucidità sconcertante e arsa di un Fante della seconda ora si mescola alla perfezione di un Salinger trafitto e sconcio. Le storie vengono da un luogo in cui siamo già stati, ma quel luogo resta un’invenzione. Se ciò che si sceglie di raccontare non può essere verità, può però essere sincerità. Il fuoco di Nove, riprodotto in una fiammata sin dalla copertina, attraversa tutta la vicenda ed è sincero. Rimasto precocemente orfano di entrambi genitori, il protagonista scopre la solitudine. Uno stridente rumore di ossa, spiega l’autore, qualcosa di netto e tangibile. Non ancora morte o follia, ma quasi. Vive stabilmente da solo, infatti, salvo la presenza di una zia che gli fa da mangiare, fino a quando, a causa di un maldestro tentativo per aprire una bombola a gas, fa saltare in aria la casa e tutto ciò che contiene. Salvo per miracolo, finisce in ospedale. Qui scopre un’umanità grottesca e tutti i suoi oggetti. Soprattutto quelli più umili, come la bottiglia di plastica, imitazione della più nobile Coca cola, che svetta sul suo comodino. Ne scopre la pietas materiale, il portato povero di felicità mercantile, al quale tutti gli uomini aspirano come forma di sollievo. Fuori da quell’ospedale non c’è altro. È così che arriva l’idea della morte: per privazione. Aldo Nove. protagonista/scrittore tenta di imitare la morte del poeta Trakl, servendosi di una dose inimmaginabile di cocaina e perdendosi in una uguale quantità di giornali porno. Li divora e ne è divorato, precipitando in una dimensione brevissima e infuocata di sesso perverso e violento. Inserzioni sui giornali, uomini, donne, stanze, letti, corpi, coiti e sodomìe, membra umide, confuse e confondenti, strade sconosciute. Il sesso diventa elencazione di orrori estatici. Questo apprendistato al dolore ha la levità lirica e la precisione di un’incisione chirurgica nella carne viva. Precipitando vertiginosamente, passa attraverso quattro fasi distinte: la tragedia, la sorpresa, la comicità e l’oscenità. In ultimo brucia in una fiammata purificatrice. C'era stato un tempo in cui, attraverso la droga si cercavano esperienze mistiche. Lsd, eroina, hashish, servivano a scoprirne nuovi universi. Oggi la cocaina pare essere diventata la droga dell’adeguamento, della socialità. Benché oggi gli operai in fabbrica ne facciano uso per incrementare gli straordinari, nel romanzo di Nove rappresenta, in una visione più anni ottanta, l’ultimo fuoco nel quale ardere come carta. Per non essere parte di sé. Per non appartenersi più. Del resto è lo stesso autore, in molte interviste, ad affermare che l’uomo per tutta la vita, non fa altro che tentare di soffocare i propri fantasmi. Il fantasma dell'altro, lo straniero, soprattutto, salvo poi scoprire che quel fantasma non è che un riflesso in uno specchio.
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