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venerdì 27 aprile 2012

IL FU MATTIA PASCAL di Luigi Pirandello (Newton Compton). Intervento di Vittoria Coppola


“Non solo la vita è più inverosimile della letteratura, ma è la vita stessa che copia l'arte.”. Questa è la risposta che Luigi Pirandello rivolge a chi accusa la sua opera di inverosimiglianza: Il fu Mattia Pascal, un classico moderno. L'autore siciliano sceglie di scrivere in lingua nazionale ma funzionale (quindi innovativa) e si rivolge al lettore proponendo un'opera che parla di identità. La maschera che ognuno di noi indossa ci inchioda, si. Ma fino ad un certo punto. Questo ci dice Mattia, dopo essere “morto”, divenuto Adriano Meis, “morto” un'altra volta. Il protagonista ricerca continuamente l'eccitazione pura, scappa dai dissidi coniugali e si costruisce una vita fittizia, fuori dalle leggi e dalle convenzioni. Neanche qui, però, trova appagamento. E allora torna indietro.  Mattia, o quel che di lui resta, danza sul palcoscenico della sua esistenza sicuro di poter incontrare sempre e comunque una compagna di ballo. Ma la vita non lo aspetta. Narratore della sua storia, Mattia ha scarsa voglia di lavorare e di puntare su se stesso per dare un senso vero ai suoi giorni. È devoto alla madre, che definisce “bambina cieca”, desiderosa solo di proteggere i suoi figli. Intrattiene relazioni sessuali, si imbatte in falsi amici. Luigi Pirandello è più che attuale ed Il fu Mattia Pascal rappresenta un perfetto incastro tra caso e forma, nella stessa misura in cui la famiglia è nido e prigione e Mattia è comparsa e mancato protagonista di se stesso.

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