Cerca nel blog

domenica 13 settembre 2009

Frammenti di un interno - romanzo anomalo di Vito Antonio Conte (Luca Pensa editore). Rec. di Silla Hicks



















Quando ti riesce di scrivere qualcosa di buono, non è perché la gente ne parla o vinci un fottutissimo premio. È perché quando lo leggono indovinano chi sei, o almeno ci provano: per questo, a parte Marcel, non credo ci siano persone che possano raccontare chiuse nella propria stanza di cose che non hanno mai visto, perché non le posseggono, e allora tutto suona stonato e falso, per quanto apparecchiato bene. Mi spiego: chi prova a scrivere, e lo fa seriamente – che ci riesca o no, è un discorso a parte – apre una finestra su di sé, prima che sulla storia. Se hai il tempo e la voglia di guardarci dentro, in controluce vedi l’autore com’è veramente, impietosamente, magari, come un cadavere livido sotto il neon dell’anatomopatologo. Vedi un gigante goffo e miope con la maglietta dei Red Sox, nelle pagine più riuscite di IT. Un signore straniero con una buffa barbetta a punta innamorato degli Uffizi, tra quelle dell’Incantatrice di Firenze. Una donna magra e disperata che vorrebbe un’altra vita e un altro corpo che non le siano entrambi prigione, straziata dietro l’ineffabile sorriso di fenice di Orlando.
In alcuni casi è più facile. Ci sono quelli come Hemingway, che raccontano la propria vita e le proprie storie – la guerra civile spagnola, la Parigi di Picasso e della regina Stein - per quelle che sono. Altri, come Roth, che ne prendono spunto e basta. Ma dietro c’è sempre qualcuno che scrive in quel modo e dice quelle cose perché sa di che sta parlando.
Altrimenti, è aria fritta. Non c’è immaginazione che tenga, se manca l’esperienza, se non si hanno i calli sulle dita. L’ immaginazione è solo un velo, e non può separarci dal nulla.
Per questo, questi frammenti di un romanzo mi restano impigliati, anche adesso che il libro l’ho chiuso.
Non è tanto la storia – a metà tra indagine e diario – ma il modo in cui è scritta, tra Herzog e Gadda, visionaria ma intrisa di tecnica esperienza, insieme Fitzcarraldo e la Meccanica, in cui il quotidiano si mescola inconsapevolmente alla storia che racconta, e ci sono canti in latino dentro cattedrali di pietra e termini come “anatocismo”, che sarebbe un sistema illegale di calcolo d’interesse, m’ha detto Luca, che fa il direttore di banca.
Non si leggono alla leggera, queste 114 pagine in pitch 12, come i racconti dell’Adalgisa che devi seguire il rigo per non perderti la parola chiave, non è il cut off di Burroughs – non ancora? - ma questo signore l’ha letto eccome, Burroughs, e si vede, come si vede che si suda ogni frase, che se la gira e rigira prima di lasciarla com’è.
Premetto: non è un giallo, non so se voleva esserlo, ma non è questo, questo libro, quanto piuttosto un train de vie, immaginifico e insieme concreto, perché questo signore non è uno che può permettersi di scrivere e basta, e se lo porta dietro, si porta dietro il suo lavoro normale, le sue giornate normali, e senza di questo non ci sarebbe storia.
E così vaffanculo se non tutto è credibile, vaffanculo se non si resta col fiato sospeso sulle tracce del serial killer e persino se l’impaginazione tirchia ha ridotto a sbarre gli a capo di pagina 90 e 91 ché la prosa poetica avrebbe meritato, perché io non capisco un cazzo di metrica, ho fatto 4 anni all’Istituto d’arte e mi guadagno da vivere con la patente, ma dentro queste righe c’è il ritmo di Capossela.
Può darsi che il 13 febbraio 2005 non sia successo niente, ma non ci credo, o forse è successo ma non in quella data, non lo so, in fondo uno scrittore s’inventa anche le cose che vive. Come so che “quella donna” c’è stata davvero, non avevi bisogno di precisarlo, c’è stata davvero e ci sarà a vita, ovunque andrai, perché nessuno che l’abbia incontrata può riuscire a scordarsela: al massimo, può sperare che l’ignori, e stare lontano dalle luci di Samarcanda.
Io, che non ho il tuo né nessun altro dio che mi abbracci, che l’ho incontrata a 17 anni e dopo cercata tante volte senza che si facesse trovare, ho smesso di crederci fino a degradarla ad interruttore, ma io sono un amante tradito che per sopravvivere deve smontare pezzo per pezzo lo sguardo in cui vorrebbe annegare, e anche se con una donna – per me, l’unica –non ci sono riuscito, con “quella donna” ho fatto un buon lavoro.
Ma questa è un’altra storia.
Quello che so, è che anche tu l’hai vista, e che ci sono cose che solo chi l’ha viste le può raccontare. Prima che vadano perdute, come lacrime, nella pioggia.

Quella donna e altre cose. FRAMMENTI DI UN INTERNO – ROMANZO ANOMALO DI VITO ANTONIO CONTE. Letto da Silla Hicks)

fonte iconografica: www.lucioangelini.splinder.com/archive/2007-11

Anteprima: Buio - My Land di Elena P. (Fazi editore) dal 2 ottobre 2009

Ciao. Il mio nome è Alma, ho diciassette anni. E queste sono le poche certezze che ho, in questa città velenosa che sembra impazzire. Un’altra certezza: sorrisi e lacrime possono essere molto pericolosi se lasciati fuori controllo. Me lo ripeto ogni mattina, quando esco di casa per affrontare la Città sotto il cielo grigio, con in spalla il mio zaino viola.
Tutto ciò che mi piace è viola. Come la copertina del quaderno che ho comprato in una strana cartoleria del centro, pochi giorni prima che tutto avesse inizio e che la mia vita cominciasse a scivolare in un assurdo incubo senza fine. E gli occhi di Morgan, anche quelli sono viola…
Gli eventi non sono mai coincidenze, i segni di cui è disseminata la nostra vita non devono mai essere ignorati. Anche la più piccola disattenzione presenta il suo conto, sempre. La mia storia ne è una prova.
Buio è il primo capitolo della trilogia My land, in libreria dal 2 ottobre 2009; ma vi avverto: non è una favola.

sabato 12 settembre 2009

Il libro del giorno: Il rosso e il blu di Marco Lodoli (Einaudi)

Marco Lodoli non è soltanto uno scrittore, ma anche un insegnante, un professore nelle scuole superiori. Ogni giorno, in presa diretta si incontra e scontra con la scuola, con gli studenti e con il difficile e appassionante mestiere di insegnante. In Il rosso e il blu abbandona la finzione narrativa e, attraverso brevi ma folgoranti osservazioni, affronta i molti «cuori ed errori» che sono disseminati nella scuola italiana, e di cui è testimone quotidiano, esprimendo cosí il suo punto di vista sui tanti temi che entrano nel dibattito pubblico sull'educazione scolastica e i giovani di oggi: dal momento topico dell'esame di maturità alla piaga emergente del bullismo; dalla straniante e defatigante esperienza delle gite di classe al problema della droga. Dall'angoscia degli studenti per il loro futuro, alla sintonia magica che talvolta si crea con il loro professore. Si delinea cosí un percorso mai scontato, dove la chiarezza espressiva è contemperata dalla profondità di giudizio. Gli errori della scuola sono solo un aspetto della questione. Non avrebbero senso e importanza, se dietro di essi non ci fosse la passione, insomma i cuori. «La scuola elementare Ugo Bartolomei di via Asmara a Roma, tra il 1962 e il 1967, una vita fa: e infatti quando provo a resuscitare nella memoria quel tempo trovo pochi frammenti che fatico a collegare. Ma la maestra Greco, prima e seconda, e il maestro Castelli, dalla terza alla quinta, me li ricordo bene, sono le prime persone che mi hanno insegnato a non piangere (non so perché, ma avevo la lacrima facilissima, tutto mi turbava), a tenere in ordine le mie cose, ad ascoltare, a fare fino in fondo il mio dovere. Era un mondo silenzioso, completamente diverso da quello dei bambini di oggi, smaniosi e strepitanti. La maestra Greco dettava e io scrivevo, cercando di non commettere il minimo errore perché non dovevo deluderla. Il maestro Castelli spiegava a lungo la matematica, e io stavo attento, incolonnavo, risolvevo tutti i problemi. Mi chiamavano Lodoli, erano severi, esigenti, malinconici: sapevano ogni cosa, tutti i fiumi d'Italia, tutte le capitali, tutta la storia romana, e io pensavo che fossero immortali».

"Il rosso e il blu raccoglie, amplia e integra una serie di interventi che Marco Lodoli ha fatto sulla carta stampata dal fronte della sua cattedra: compreso quello - famosissimo e ispiratore di una canzone dei Baustelle - sui pantaloni a vita bassa e sulla rassegnazione (oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità) della studentessa che li indossava"

di Loredana Lipperini tratto da Almanacco dei libri de La Repubblica del 12/09/09 p. 44

casa editrice Einaudi: http://www.einaudi.it/

Sesso, scarpe e pesciolini di Fabio Brigazzi (EdizioniAnordest)

La scoperta del sesso vero, trasgressivo e senza limiti di una cinquantenne in carriera, con sulle spalle un rapporto ormai stanco, grigio e prevedibile con il proprio coniuge. Una donna all’apparenza spenta e senza più pulsioni sessuali che troverà invece , spinta anche dalla curiosità femminile, la forza e il coraggio di affrontare prove erotiche sempre più ardite e imprevedibili. Sarà il suo Pigmalione, che il destino le metterà sulla strada, a forgiarla e farla così divenire frutto della propria immagine e creatività, fino a superare addirittura il suo maestro e mentore , anche grazie alla sua nuova intraprendenza e femminilità. Un libro dove il sesso è protagonista inteso come un gioco ma non più come un “affaire” lercio ed immorale. Senza tabù, regole e restrizioni e praticato per il proprio piacere e di chi le sta accanto, a chi gusterà come frutto proibito le pagine di quest’opera verrà presentato un percorso difficile, che forse non tutti condivideranno, ma che porterà la protagonista a tirar fuori le sue fantasie erotiche e andare oltre i limiti imposti dalla morale e dalla sua rigida educazione. Marina proverà e “sentirà” quello che mai e poi mai, avrebbe lontanamente immaginato… E che il lettore non si lasci trarre in inganno dall’età della protagonista, perchè nel libro troverà anche le sue voglie e fantasie... Scrive Tinto Brass nella prefazione al volume: “Ciò che mi ha maggiormente -e positivamente- incuriosito in “Sesso, scarpe e pesciolini”, è l’età della protagonista: cinquant’anni. Un’età che, salvo il caso di diari autobiografici, è più che canonica per l’eroina di un romanzo erotico, con il rischio di relegarla automaticamente se non fuori tempo massimo, almeno borderline, ai confini della menopausa, fra le donne che, anche se ancora belle e desiderabili, l’industria culturale impietosamente bolla, per dirla con il brutale pragmatismo dei tycoon americani, come “no more fuckable!”. E invece Marina è “still very fuckable!”. E il romanzo non è affatto un diario autobiografico! Ancorché la protagonista si racconti in prima persona, è in realtà la penna di Fabio Brigazzi, il grimaldello espressivo con cui scassinare lo scrigno della libido più intima, il passepartout psicologico per penetrare nel caveau dei desideri più segreti e vergognosi, il deragliatore ideologico grazie al quale smascherare gli eterni inganni che i corifei della Dignità e del Sentimento, ci hanno per troppo tempo e con troppe bugie propinato. La penna di un autore schierato decisamente con la cultura più avvertita e moderna, quella per intenderci che riconosce valenze estetiche non solo all’erotismo ma anche alla pornografia definisce le donne come Marina, in preda a le demon du midi”. Invece fuori dalle pagine dei libri a Johannesburg, in Sudafrica, dal 1 al 4 ottobre 2009 , per gli “amanti del genere” si aprirà Sexpo al Gallagher Centre per serate un po’ speciali dove ci saranno sia divertimenti xxx che quelli meno hard dallo strip poker alla lap dance: madrina d’eccezione la pornostar Claudia Rossi.

venerdì 11 settembre 2009

Ergo Sum 09. La Notte Bianca a Galatina













Piazza Orsini del Balzo


* Incontro con l'autore: Pierluigi Mele presentazione del libro Da qui tutto è lontano, intervento di Stefano Donno |ore 21.00
* Incontro con l'autore: Giuse Alemanno presenta Le vicende notevoli di Don Fefe |ore 21.30
* Reading: Walter Spennato presenta Sex in the freezer (poesie erotiche & omicidi del cazzo), con Francesco del Prete al violino | ore 22.00
* Reading: Claudia Kholl legge La notte della fuga di Donatella Parisi , con Ugo Bentivegna e Jhan Marie Nirema - Introduce Laura Marchetti |ore 22.30
* Incontro con l'autore: Salvo Sottile presentazione del libro Più scuro di mezzanotte - Modera Marco Renna |ore 23.30
* Incontro con l'autore: Vladimir Luxuria presentazione del libro Le favole non dette - Introduce Laura Marchetti | ore 00.30

Piazza dell'Orologio

* Omaggio a Carmelo Bene - Proiezione Lectura Dantis - Proiezione Quattro Diversi modi di morire in versi
* Dibattito: intervengono Rino Maenza, Gigi De Luca | ore 21.30
* Incontro con l'autore: Marcello Veneziani presentazione del libro Sud - Modera Marco Renna | ore 22.30
* Incontro con l'autore: Franco di Mare presenta il libro Il cecchino e la bambina - Modera Ilio Palmariggi | ore 23.00
* Incontro con l'autore: Roberto Muci presenta il libro L'Islam in Italia - Intervengono Roberto Muci e Giulio Giordano, Maria Rosaria De Lumè|ore 23.30
* Incontro con l'autore: Raffaele Gorgoni presenta il libro Communism Bed and Breakfast ed altre storie|ore 0.30
* Da Mille soli di Dominique Lapierre reading di Beppe Convertini con Olivia Palmieri musiche di Gabriel Chami|ore 1.00

ALTRI VERSI di Elio Ria (Lupo editore). Rec. di Angelo Petrelli

Pubblicato dall’editore di Copertino “Lupo”, “Altri versi” di Elio Ria è un’interessante raccolta poetica. Il libro si apre con questi versi: “le mani sudano speranza oltre la ragione, e / gli occhi pietrificano nella clausura del dubbio / nella stanza ovattata della memoria” (p. 5).
Partendo dalla “clausura del dubbio”, la poesia di Elio Ria percorre fino in fondo la strada dell'irrequietezza spirituale dell'uomo contemporaneo. Se possiamo definire questa una “poesia metafisica” e filosofeggiante, altrettanto semplice sarà comprenderne la motivazione più intima: attraverso l’invocazione e la preghiera, così come l’immaginario biblico propone con la figura del profeta Isaia (nel sogno di Isaia la preghiera è rappresentata da una scala tra terra e cielo) la realtà del vivere quotidiano diventa una continua ricerca di sé in senso morale, prerogativa tanto cara alla letteratura del secolo scorso e in aperta polemica con il nichilismo etico del mondo contemporaneo. Scrive Ria: “senz’anima in un cielo sciupato / incompleto e disadorno / arranco in controverse verità / Edulcoro la realtà / invento dogmi immateriali / disperdo nella follia il limite” (p. 12).
Oppure: “ho messo piede nel bosco / il cuore strozzato dall’angoscia / rendeva il cammino incerto / ho provato con le mie mani lunghe / ad accarezzare i rami muscolosi / degli alberi fieri ma sonnambuli / in quel mondo di quiete / io sulla barella dell’urgenza / rinsavito dal profumo pungente / ho ceduto il sonno per la vita” (p. 26). Ora, sul piano tecnico, i versi proposti da Elio Ria non possono definirsi di certo originali, ma dimostrano di possedere la sufficiente solidità stilistica per essere letti e apprezzanti. Elio Ria è nato a Tuglie (Le) nel 1958. Ha in precedenza pubblicato altri lavori, tra cui ricordiamo la raccolta poetica “La mia solitudine” (Kimerik, 2007).

powered by Nuovo Quotidiano di Puglia

"Le cronache di Saint-Germain" di Chelsea Quinn Yarbro (Gargoyle Books)

Il libro. Nei suoi quattromila anni di non-morte il vampiro gentiluomo Conte di Saint-Germain ha conosciuto nobili e straccioni, artisti e mercanti, valorosi guerrieri e abietti traditori e, soprattutto, tante donne, tra le più belle del mondo. Lo abbiamo seguito nelle sue peregrinazioni tra la Roma imperiale, la Firenze medicea, l'Asia di Gengis Khan e la Monaco pre-nazista. Nella raccolta Le cronache di Saint-Germain ben sei scenari si schiudono al lettore in un crescendo di suspense e suggestione: una riunione di aristocratici sullo sfondo della Londra edoardiana, un antico maniero dietro le linee nemiche durante il secondo conflitto mondiale, un resort in Colorado dove si nasconde un ambiguo omicida, un viaggio in aereo per New York, lo svolgimento di movimentate lezioni di alchimia nella Padova trecentesca. Le cronache di Saint-Germain è il sesto titolo del ciclo di Saint-Germain: pubblicata per la prima volta nel 1983 in edizione paperback, l'antologia ha ottenuto un ottimo successo di vendite, tanto da essere più volte ristampata e da venire opzionata per il cinema. La raccolta viene proposta per la prima volta ai lettori italiani con l'aggiunta del racconto lungo "Saint-Germain a Padova", scritto dalla Yarbro a seguito del book-tour compiuto nel 2006 nel nostro paese: ospite del Comune della città patavina, nell'ambito di un'iniziativa dedicata all'horror intitolata "Quando il genere ha la G maiuscola", la scrittrice si era, infatti, impegnata ad ambientarvi una delle future avventure del conte di Saint-Germain. La promessa è stata finalmente mantenuta e il racconto in questione è uno splendido affresco della Padova del XIV secolo nonché un omaggio al suo antico ateneo, che affronta la sempre attuale questione della difficile conciliazione tra le finalità del potere spirituale e quelle del progresso scientifico.

L'autrice: Nata a Berkeley (California) nel 1942, Chelsea Quinn Yarbro è definita unanimemente "la regina dell'horror storico" per via della poderosa e accurata documentazione che accompagna ogni suo libro. La saga di Saint-Germain è la più longeva e prolifica serie horror che, cominciata nel 1978, conta attualmente più di venti titoli ed è tradotta in oltre venti paesi. Per la scrittrice californiana il vampirismo diventa la modalità per fare della suggestiva divulgazione storica, così che il suo Saint-Germain interagisce in maniera credibile con personaggi (famosi e non) appartenenti a epoche sempre diverse. Particolarmente efficace nella saga, in tal senso, l'escamotage di intervallare la narrazione con lettere, dispacci, editti, petizioni, proclami, ordini militari funzionali a inserire la trama in una precisa cornice storica, politica e sociale ben precisa. Il conte François Ragoczy di Saint-Germain è un vampiro millenario ispirato alla figura di un nobile alchimista boemo realmente vissuto durante l'Illuminismo. Lo stereotipo del vampiro assetato di sangue e avvolto da un alone di raccapriccio ed efferatezza viene completamente rovesciato: il conte è un gentiluomo sofferente per l'isolamento a cui la sua natura lo costringe, desideroso di riscattare la sua condizione e, soprattutto, amico e amante delle donne, che hanno sempre un ruolo da comprimarie nella saga e sono rappresentate in modo forte e indipendente. La Yarbro ha scritto oltre settanta romanzi e un numero imprecisato di racconti e saggi, inoltre vanta numerose collaborazioni per il cinema. Per i tipi Gargoyle Books sono usciti Hotel Transilvania (2005), Il palazzo (2006), Giochi di sangue (2006), Il sentiero dell'eclissi (2007), Un destino di sfida (2008).
http://www.chelseaquinnyarbro.net/

Da Le cronache di Saint-Germain:«Ma se lei è un vampiro.» iniziò a dire Lorpicar [.] «Non vuol dire nulla. Qualunque obbligo io possa avere nei confronti di quelli del mio sangue, non si estende a chi uccide [.] Lei è una vergogna per la nostra specie. È a causa sua e di quelli come lei che tutti noi siamo stati cacciati, braccati, uccisi [.] Persino da giovane, quando abusavo del potere della vita-nella-morte, ne ho compreso in fretta la follia» (Da "Baita 33")

Chelsea Quinn Yarbro sul conte di Saint-Germain:Quando nel 1972-73 cominciai a sviluppare l'idea di un ciclo di romanzi su Saint-Germain, non intendevo tratteggiarlo come un vampiro. Tuttavia quanto più leggevo su di lui, tanto più mi convincevo che il mio vampiro era già bello e pronto. Alto meno di un metro e settanta, vestiva quasi esclusivamente di bianco e nero, molto di rado mangiava o beveva in pubblico (anche se organizzava cene stravaganti), gli venivano attribuiti arcani poteri, affermava di avere da due a quattro millenni di età, era un poliglotta che aveva viaggiato molto, era assai colto e fu un mecenate delle arti: era insomma un mistero vivente.

Gargoyle Books, presenta "Le cronache di Saint-Germain" di Chelsea Quinn Yarbro
Traduzione di Flora Staglianò. Dal 3 settembre 2009 in libreria

giovedì 10 settembre 2009

Alessandra Pierelli al Grifone di Lecce















"Non stare a lungo lontano da me se non vuoi che il ricordo invada tutto e non lasci più posto alla presenza. Ormai ti vedo spesso sotto gli alberi"
(Frank Wilcock)

Giovedì 10 settembre 2009, alle ore 21,00, la Galleria "Il Grifone" di Monica Taveri apre al mito con l'inaugurazione della mostra "La stanza di Eco" di Alessandra Pierelli, visitabile fino al 20 settembre. É la ninfa Eco che fa il suo ingresso. Chiede solo di amare. Insegue Narciso, figlio di Liriope, che fu sedotta dal fiume Cefiso una mattina mentre faceva il bagno nuda. Ma Narciso ha amore solo per se stesso. É disperata Eco. La sua passione si trasforma in dolore, e come un vecchio olivo, si consuma dal di dentro, fino a sparire del tutto. É capace di ripetere solo l'ultima sillaba che ascolta. Di lei aleggia nell'aria solo il suono. E anche Narciso, incapace di muoversi dalla fonte per non perdere di vista la propria immagine, si consuma lentamente finché al suo posto non rimane che il pallido fiore che porta il suo nome. L'amore non è materia di racconto se non è contrastato e doloroso. Il rifiuto di Narciso, la sua lontananza, diventano ossessione che tormenta la vita di Eco. Nell'asimmetria del sentimento si sviluppa la tensione affettiva che è la certezza dell'amore. Alessandra Pierelli coglie la fragilità umana che è nella storia di Eco e Narciso e la conduce in una stanza come indice di bellezza e di amore, come un fiore colto da un campo che non ci darà i suoi frutti ma che ci lascerà il suo profumo da assaporare in fretta. La sua seta, distillato di amore, si tradurrà in suono, svuotata della bellezza che scivola via, perché il tempo è corruttore, mortifica le carni e prende tutto per sé e lo depone sul suo carro alato. Le resine variopinte di Alessandra Pierelli sono testimoni silenziose di tutto quello che, in quella stana, è accaduto e ancora accade. Ci piace pensare che nel luogo d'arte di Monica Taveri, in questi giorni, si torni ad ascoltare Eco con il suo ultimo invito rivolto a chi, come noi, ha urgenza d'amore: Amore…ore…ore…ore…...

Alessandra Pierelli, anconetana, ha frequentato l'Accademia di Brera e successivamente il corso International Art School di Montecastello di Vibio.
Ha esposto in numerose mostre ed ha collaborato con Alvin Held Jacob e Giorgio Bonomi. Dopo gli studi presso L'Accademia del Superfluo di Roma, si è specializzata in decorazione e trompe l'oeil.

GALLERIA "IL GRIFONE", Via Palmieri, 20 a Lecce
Giovedì 10 settembre 2009 - Ore 21,00 presenta "La stanza di Eco"di Alessandra Pierelli a cura di Alessandro Turco, Ambra Biscuso, Monica Taveri

La canzone di Marinella di Fabrizio De Andrè: tra fiaba e poesia. Intervento di Maria Beatrice Protino



















«La Canzone di Marinella non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È la storia di una ragazza che ha perduto i genitori, una ragazza di campagna dalle parti di Asti. È stata cacciata dagli zii e si è messa a battere lungo le sponde del Tanaro, e un giorno ha trovato uno che le ha portato via la borsetta dal braccio e l’ha buttata nel fiume. E non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte» racconterà De Andrè in un’intervista.
Si trattò, quindi, di un fatto di cronaca letto su un giornale locale, probabilmente relativo all’omicidio di una prostituta colpita con sei colpi di pistola e il cui corpo fu gettato in un fiume.
Pur così atipica nei toni rispetto le altre composizioni del cantautore, nondimeno il brano segna innegabilmente la svolta per De André in fatto di popolarità: l'interpretazione della ballata da parte di Mina nel 1967, ben tre anni dopo la prima incisione della canzone, lo porta, infatti, alla notorietà a livello nazionale.

Lui che non ti volle creder morta/bussò cent'anni ancora alla tua porta

La protagonista della ballata è una ragazza che, dopo aver trovato l'amore, muore in circostanze misteriose. I toni del brano sono lievi, fiabeschi, pieni di immagini e colori, a volte apparentemente lontani dal tipico realismo di Fabrizio e la semplicità dei giri d'accordi e delle rime baciate contribuisce a creare un'atmosfera magica e rarefatta: una ragazzina che parlava d'amore e che, “come un ragazzo segue l'aquilone”, si lascia andare ai “baci” del suo “re” dal rosso mantello con il “sole negli occhi belli”.
Subito, però, la tragedia: lei scivola nel fiume e lui, che non volle credere alla sua morte, “bussò cent’anni ancora” alla sua porta, continuando ad amarla per l’intera vita. Ecco, dunque, l’intervento del poeta e dell’artista: la sublimazione della storia e la creazione della fiaba, che fa perdere ogni connotazione temporale, e dei suoi personaggi, con la loro dirompente carica di umanità, inquietudine e disperazione.

«Ho tentato un affresco sulla miseria dell'uomo che è un invito alla pietà, alla fraternità» (De Andrè)

Alla fine degli anni Sessanta il cantautore genovese compone il sontuoso concept-album "Tutti Morimmo A Stento" (1968) in cui il senso del tragico che aveva sempre ispirato le sue opere raggiunge la sua apoteosi: un viaggio in un girone dantesco della desolazione umana, tra drogati, condannati a morte, fanciulle traviate e bambini sconvolti in cui trova spazio anche “La canzone di Marinella”: l’argomento comune è quello dell’emarginazione e della morte psicologica, morale, mentale; il linguaggio scelto è tipico di un poeta non allineato, che ricorre all'ironia e del sarcasmo per denunciare l'ipocrisia e la vigliaccheria; è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere; è uno sforzo per nobilitare la miseria umana attraverso la poesia e la fiaba.

Il libro del giorno: Carlo Formenti, Se questa è democrazia. Paradossi politico-culturali dell’era digitale. (Manni)

La crisi della democrazia rappresentativa e lo sviluppo di nuove forme di partecipazione dal basso attraverso Internet sono due processi che, in barba alle previsioni dei profeti della “democrazia elettronica”, sembrano progredire parallelamente, senza trovare un punto di convergenza. La tesi proposta in questo libro è che le cause non vanno cercate solo nella resistenza della casta politica nei confronti di un medium che ne mette in discussione il monopolio professionale: il vero problema è che la cultura di Internet esprime una vocazione “impolitica”. L’interesse dei “cittadini della Rete” si concentra sulla democratizzazione dell’economia e sulle relazioni personali più che sulla politica, la quale viene vissuta come ostacolo alla libera evoluzione della tecnica, del mercato e di nuovi stili di vita, più che come arena in cui impegnarsi per promuovere gli interessi della società civile. La diffusione dei nuovi media favorisce inoltre la tendenza alla privatizzazione dello spazio pubblico, alimentando l’illusione che si possa fare a meno della politica. Un’illusione che non solo non contribuisce a indebolire il potere politico, ma ne determina l’imbarbarimento, favorendo derive carismatiche e populiste.

"Come sottolinea Carlo Formenti in Se questa è democrazia (Manni, 174 pagine, 17 euro), Internet è piuttosto un laboratorio per rivendicazioni di diritti individuali, che manifestano più una privatizzazione della sfera pubblica che una politicizzazione di quella privata. Le pulsioni anarco-libertarie, trovano, invece, appeal in neo-populismi, anche di sinistra (Grillo e Di Pietro), o in derive tv, come nel caso di Vladimir Luxuria al reality show l’Isola dei famosi."

di Renato Faben tratto da Il Messaggero del 16/03/09

casa editrice Manni: http://www.mannieditori.it/index_x.asp

mercoledì 9 settembre 2009

Bel-Ami edizioni di Roma organizza corsi per l'editoria professionale




















Da domenica 13 settembre a domenica 25 ottobre, la Bel-Ami Edizioni organizza a Roma una serie di corsi dedicati all’editoria professionale. Dal corso di traduzione letteraria alla correzione di bozze, da come leggere un contratto di edizione ai corsi di editing e di promozione editoriale, tutti gli incontri sono finalizzati a offrire ai partecipanti gli strumenti necessari per muovere i primi passi nell’editoria. Un percorso indispensabile anche per tutti coloro che desiderano consolidare le proprie conoscenze professionali per entrare a far parte di redazioni di case editrici e per chi desidera collaborare con agenzie letterarie e altre strutture editoriali.

I corsi, rivolti a gruppi di max 12 partecipanti, si svolgeranno a Roma presso la libreria “Il Mattone” in Via Bresadola 12/14 (zona Tor de’ Schiavi), secondo il seguente calendario:

* 13/09/09 - La traduzione letteraria inglese (con Emily Magliozzi)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 07/09/09
* 20/09/09 - La correzione di bozze (con Amalia Maria Amendola)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo: €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 14/09/09
* 25/09/09 - Il contratto di edizione (con Avv. Fabrizio Macrì)
Orario: 18.00 - 20.00 / Costo: gratuito
Scadenza iscrizioni: /
* 04/10/09 - La promozione editoriale (con Sarah Bonciarelli)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo: €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 28/09/09
* 11/10/09 - La correzione di bozze (con Amalia Maria Amendola)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo: €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 05/10/09
* 18/10/09 - Il mestiere dell’editor (con Paolo Satta)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo: €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 12/10/09
* 23/10/09 - Il contratto di edizione (con Avv. Fabrizio Macrì)
Orario: 18.00 - 20.00 / Costo: gratuito
Scadenza iscrizioni: /
* 25/10/09 - La correzione di bozze (con Giammarco Cardillo)
Orario: 10.30 - 13.30 e 14.30 - 17.30 / Costo: €100,00 + IVA
Scadenza iscrizioni: 19/10/09



Per maggiori informazioni è possibile contattare l’Area Formazione della Bel-Ami Edizioni all’indirizzo e-mail formazione@baedizioni.it

Il libro del giorno: Indignazione di Philip Roth (Einaudi)

È il 1951 America, il secondo anno della guerra di Corea. Marcus Messner, un giovane serio, studioso e ligio alle leggi, di Newark, New Jersey, sta cominciando il secondo anno di università in un campus rurale e conservatore dell'Ohio: il Winesburg College. Perché ha deciso di frequentare il Winesburg invece del college della sua città, a cui si era inizialmente iscritto? Perché il padre, il risoluto e laborioso macellaio del quartiere, pare impazzito: impazzito per la paura e l'apprensione di fronte ai pericoli della vita adulta, ai pericoli del mondo, ai pericoli che vede incombere a ogni angolo sul suo amato figliolo. Come spiega al figlio la longanime madre messa a dura prova dal marito, è una paura che nasce dall'amore e dall'orgoglio che il padre prova per lui. Ciò non toglie che Marcus covi una rabbia troppo grande per poter ancora sopportare di vivere con i genitori. Li abbandona e, lontano da Newark, nel college del Midwest, si deve districare fra le consuetudini e le repressioni di un altro mondo americano.

"Come dice il titolo, Roth esprime una dolente e rabbiosa indignazione di fronte a una vita sprecata e tradita. L'amarissima morale è affidata alla battuta finale del libro.secondo cui il protagonista non è riuscito a comprendere il terribile incomprensibile modo in cui anche le scelte più accidentali, più banali, addirittura più comiche producono gli esiti più sproporzionati"

di Antonio Monda tratto da La Repubblica del 9/09/09 p. 45

casa editrice Einuadi: www.einaudi.it

Indignazione di Philip Roth, 2009, 136 p., rilegato, traduzione a cura di Gobetti N.
Editore Einaudi (collana Supercoralli)

Melodia del contatto di Ramon Trinca (Editrice Zona)

Apre domani all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco (U.S.A.) la mostra dal titolo “Drawings from Life” di Lawrence Ferlinghetti, il novantenne poeta della Beat Generation fondatore della storica casa editrice americana City Lights. Poi tra le mani (quasi per coincidenza astrale) mi capita questo lavoro di Ramon Trinca che sintetizza in maniera esemplare più che le coordinate stilistiche e contenutistiche della Beat, le categorie del Pulp (pure troppo!): studenti, artisti, ubriaconi. E un po’ di Ferlinghetti, Bukoswski, Ginsberg lo ritroviamo tra le pagine di questo volume, con qualche accento tendente al gothic-noir, forse un po’ neo-decadente per certi aspetti. Ma veniamo nello specifico. La raccolta di Ramon Trinca dal titolo “Melodia del contatto” (editrice Zona) che consta di 76 componimenti poetici, risulta essere di un buon livello, anche se si sa purtroppo che la poesia per quanto realizzata puntualmente nella sua dimensione poietica e ben curata nella forma e nello stile da un autore, difficilmente trova mercato nel mondo dell’attuale editoria, e dunque risulta pregevole l’impegno di questa casa editrice a continuare a credere nel mondo dei versi. Il filo conduttore dell’intero lavoro presentato in questo libro è quello della deriva, onto-fenomenologica, da intendersi sia come senso di spaesamento nei confronti delle cose, delle persone, che dei ricordi e della memoria anche sensuale, amorosa. Ma soprattutto serpeggia una forte consapevolezza sull'estraneità della coscienza nei confronti della natura oggettivantesi nella crudele realtà, vista come vuoto angosciante privo di alcuna coscienza da parte del soggetto percipiente. Pare poi che l’autore voglia dimostrare coi suoi versi, una specie di dualismo tra ciò che è cosciente e ciò che è incosciente. Una vita in bilico dunque su un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso, che provoca una grande vertigine. Il poeta è immensamente solo, percepisce il Vuoto, perché non c'è un Dio a cui fare riferimento e porre domande e questo genera disperazione, solitudine, disordine. Questa condizione del sentirsi esistere è già vissuta come un essere nichilisticamente altro da sé, un non-esserci totale e immenso, nonostante pare essere assurda per Trinca anche questa visione, perché senza uno scopo apparente, ed è circoscritta all’essere per il vivere e per il morire, dove gli eventi ci vengono incontro come fenomeni e non possiamo percepirli come tali se non vengono in contatto con il nostro essere cosciente. L’intera produzione poetica presentata in questa sede segue una prosa poetica bilanciata con guizzi ritmici interessanti. Una storia quella raccontata in versi dall’autore che ci porta a riflettere se nella nostra esistenza siamo disertori o “disertati”!

71

Alcolici dentro stanze,
appartamenti, citofoni;
alcolici dentro giornali,
sorpassi, emergenze,
dentro sudori, ascensori,
speranze, omicidi.

Alcolici dentro la perversa bava del buio,
la occultata saliva del giorno,
dentro un raggio del sole,
dentro palpate, ordinazioni,
cestini, neuroni,
alcolici di generazioni.

Di alcolici
Le stazioni ne sono piene.

Anche gli aeroporti
Ne sono pieni.

E non ci sono parcheggi.

martedì 8 settembre 2009

Paviart Poetry Festival 2009



















Sabato 12 settembre ORE 20.30: APERITIVO POETICO con Presentazione dell’antologia PRO/TESTO(Ed.FaraEditore)

Partecipano: Chiara De Luca, Matteo Fantuzzi, Luca Ariano, Simone Molinaroli, Salvatore Della Capa, Alessandro Seri, Fabio Orecchini, Dome Bulfaro.
Presentazione del primo numero della rivista FAREPOESIA.

ORE 22.00: L’UOMO LE PERIFERIE IL POTERE. OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI

Proiezione del documentario “La forma della città”
di P.P. Pasolini e P. Brunatto, introduce Farizio Zaminell.
Reading del gruppo Spazioaperitivo di SPAZIOMUSICA(con: F. Bottaro, P. Sorice, L. Littaru, G. Catalano, B. Marazzita);
Ospiti della serata: Adolfina de Stefani con Antonello Mantovani (Performance) e I Cantosociale (Ballate per gli umili Canzoni di e per Pasolini).

Domenica 13 settembre

Ore 20.30: APERITIVO POETICO, LINGUAGGI STORIE TERRITORIO: I DIALETTI

Reading in vari dialetti della penisola con interventi musicali e proiezioni
a cura del Gruppo Spazioaperitivo di SPAZIOMUSICA
Partecipano: Franca Bottaro, Paolo Sorice, Tito Truglia, Fabrizio Lana e Agostino Faravelli del Circolo Regisole, i Tri Urluk (canzoni in milanese).

Ore 22.00: Reading poetico con Francesco Marotta
e dall’antologia: “Vicino alle nubi sulla montagna crollata” (Ed. Campanotto).

Ore 22.30: NATURA ARTE SOCIETA’- OMAGGIO A JOSEPH BEUYS

Performance Interventi e Azioni poetiche con:
Giancarlo Pucci e Rossella, Tiziana Baracchi e Giancarlo Da Lio, Fulgor Silvi, Emilio e Franca Morandi.
All’interno del cortile installazioni di Plum Cake / A.PK e Mariano Bellarosa.
L’iniziativa, realizzata con il contributo del settore Istruzione e Politiche Giovanili del Comune di Pavia, è inserita nel Pavia Festival dei Saperi 2009. Organizzano: O.M.P., FAREPOESIA, Kronstadt.
Con la collaborazione di Spazioaperitivo-Spaziomusica e con il patrocinio dell’Ambasciata di Venezia.


Cortile delle Statue dell’Università Centrale (Pavia)
Ingresso libero

Il libro del giorno: Il dio degli incubi di Paula Fox (Fazi editore)

Cantrice della New York anni Sessanta e della borghesia colta di Manhattan, come degli orizzonti caraibici in cui è cresciuta, nel 1990 Paula Fox ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo "II dio degli incubi" dedicandolo al Sud degli Stati Uniti. È il 1941 e Helen Bynum, ventitré anni, per la prima volta lascia lo Stato di New York sulle tracce della zia Lulu, un'anziana attrice che vive rintanata a New Orleans. Intraprende così un viaggio iniziatico verso sud, fino ai polverosi incanti "della città del jazz" dove, tra le strade del French Market o gli artisti della bohème, Helen arriverà a sacrificare al "dio degli incubi" la propria innocenza e i propri sogni. Ormai universalmente riconosciuta, insieme a Joyce Carol Oatcs e ad Alice Munro, come una delle più importanti voci della narrativa di lingua inglese, Paula Fox torna con la storia di una formazione e di una perdita, della loro realtà ultima, dei loro coni d'ombra.

"Paula Fox restituisce il ritratto di una città regale e bohèmienne, una città dall'estro artistico, persa nella gloria del suo successo e del suo fallimento, fascinosa non tanto per quello che rimane della vecchia cultura nera e creola quanto per quel che pare provocare nell'animo dei nuovi arrivati"

di Caterina Ricciardi tratto da Il Manifesto dell '8/09/09 p, 12

Fazi editore: http://www.fazieditore.it/

101 COSE DA FARE IN PUGLIA ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA DI ROSSANO ASTREMO (NEWTON COMPTON) – lRec. di Silla Hicks

Lo dico subito, questo libro non racconta nessuna storia. Non è un romanzo e nemmeno un saggio, nemmeno una raccolta di poesie, è una guida turistica, o meglio una guida e basta, per chiunque passi da questa regione in cui stavo per dire vivo anch’io, ma questa sarebbe una cazzata, io passo il 90% del tempo sulle strade, e poi non è vita, la mia, diciamo che quando torno sto qui, in questa terra aspra come la schiena di un’asino, avrebbe scritto Tirteo, anche se questo non è il suo scoglio nell’Egeo, ma una penisola nella penisola.
Questo libro riassume – no, non riassume, frammenta – in 101 meritevoli istanti redatti da Rossano Astremo, questo posto e i suoi aspetti più o meno caratteristici, unici non so, ho viaggiato abbastanza da capire che non c’è mai niente di nuovo per chi sa guardare, e mi spiace che questa frase non l’abbia scritta io, mi spiace davvero, perché condensa il senso globale della storia e del mondo (è di V.A. Conte, comunque, la frase).
Insomma, questo libro – ce ne sono altri, su altre regioni e altri luoghi – non si propone di raccontare una storia, e infatti non lo fa, e io sono uno che legge storie, e cerca di inventarle, vorrei dire, anche, ma non sarebbe vero, perché io piuttosto cerco di trasformare in storie le cose che vivo.
Ma comunque sia, quindi, non posso dire se è un libro buono o no, ma solo se è o no utile, e dico che lo è. Lo è perché almeno in alcuni punti coglie il senso di quello che è la vita qui: parlare di cultura locale mi sa di folklore e di fatti non lo farò, come non parlerò di tradizioni e menate del genere, no, ma è innegabile che questo posto abbia un’anima, che custodisca un’identità fatta consapevolmente o meno della storia che gli è scivolata addosso, e che non si può ridurre alla notte della taranta, se no davvero siamo alla McPuglia, e non voglio credere che sia questo, quel che rimane della terra di svevi e normanni e turchi e martiri di Otranto e prima di loro dei greci di Sparta che fondarono Taranto.
Questa regione, che non m’appartiene più di quanto le appartenga io, che ci sono stato deportato bambino e uomo ci sono rimasto prigioniero dell’amore prima e del dolore poi, con cui ho fatto pace per i suoi scogli prima di vederti e per te per tutto il tempo da quell’istante in avanti, da cui non me ne vado anche ora che potrei finalmente scappare perché non è casa mia, no, ma non c’è posto che possa esserlo, questa regione in cui sto seduto a scrivere al portatile di mia sorella, seduto al tavolo della sua cucina, questa regione è un organismo vivo, pulsante, che si evolve ogni istante eppure mantiene un dna che è suo.
Perché, questa regione che non porta più fazzoletti neri in testa né abita nei trulli, ma veste in jeans e sta in palazzi come quelli che ci sono dappertutto al mondo, non grattacieli ancora, no, ma ci arriverà prima o poi, e si dibatte nella crisi che globalizza questo tempo più della Coca Cola, in cui il poco lavoro che c’è è precario e molti semplicemente s’arrangiano, trincerandosi nell’adolescenza protratta perché dopo l’università non c’è sbocco, si dice, è tante cose, e tante tutte assieme, che 101 sono troppe, e anche troppo poche.
Non posso – per i motivi che ho detto: non è né vuol essere opera letteraria – dire che cosa questo libro mi lasci, quando l’ho chiuso, perché non è abitato da fantasmi che possa sperare o temere di rincontrare. Ma posso dire quante di queste 101 cose da fare in Puglia prima di morire mi sembrino assolutamente doverose, e quante ne ho fatte, anche, perché per me e per chiunque sia qui da abbastanza tempo questa guida è anche, necessariamente, amarcord.
Una è una capatina al bar Paranà, che adesso è frequentato soprattutto da debosci universitari e radical chic sinistrorsi, ma dieci, quindici anni fa c’andavo anch’io. Aveva – pare abbia ancora – prezzi abbordabili e un’atmosfera da taverna, in un’accezione che contiene marinai e fumo e attesa e speranze, e apertura al futuro e a chiunque entri, a prescindere dell’etichetta sui suoi vestiti. Spero che sia ancora così, ma il tempo è passato e niente resta uguale.
Un’altra è adottare un cane in un canile. Ed è una cosa importante che questa guida lo dica, perché questa è tradizionalmente una terra contadina, e la vita dei campi – fuor da edulcorate digressioni bucoliche - è tutto fuorché tenera con gli animali improduttivi, lusso che non può permettersi. Non ho visto molte persone mettere da parte gli avanzi per i randagi, qui: molti riescono tranquillamente ad ingozzarsi nei ristorantini all’aperto del centro a due passi da un animale affamato che li guarda, e si tratta di professionisti, di gente che ha soldi e dovrebbe essersi lasciato il retaggio campestre alle spalle, né più né meno come chi regala ai suoi bimbi un cucciolo – firmato, è chiaro - a natale e lo dà via a pasqua, perché sporca e come faccio a tenere la casa pulita e altre menate del cazzo. Gente cui spaccherei volentieri la faccia, perché la loro inciviltà mi fa vergognare di stare qui quanto il cattivo gusto delle loro Lacoste pastello, e perchè non si può andare da nessuna parte se non si ama il casino di bambini e di cani, e non si sente il cuore stringersi per gli uni e per gli altri. Piccola parentesi: come spesso accade, è chi ha studiato meno/guadagna meno/ha meno che ha più cuore. A volte, credo che sia perché i soldi insozzano tutto ciò che toccano. Ma non so se sia così, o sia solo un caso. In ogni modo: il libro parla del canile di Manduria, ma penso che uno qualsiasi faccia ,lo stesso, o anche raccogliere un cane per strada, come abbiamo fatto – più volte – noi. Adesso, me ne è rimasto uno solo, un vecchio incrocio di pastore silenzioso e solitario, di cui mi occupo io ma che continua ad aspettare te. Ho cercato di spiegargli che non tornerai, ma che vuoi che capisca, è solo un cane, in fondo. Non si può pretendere che abbia più senno di un uomo.
Infine: il casellante della sud est di Tutino, l’uomo che guardava i treni di Benhadj, meraviglioso documentario visionario che credevo avessimo visto in dieci, qui, ma fortunatamente l’autore della guida è tra questi, ed è un miracolo, come lo è Puccetto, che dipinge sulle sue pezze un caleidoscopio di mondi, lui che non ha mai potuto visitarne nessuno. Un universo che si evolve restando quello che è, nutrendosi di quello che ha, anche se è poco o niente.
Come questa terra. Come era, e come, forse, se decidesse di togliersi la maschera del conformismo consumistico della sua bella gente che può, e finalmente mandasse affanculo i lounge bar, le pagliacciate come la notte della taranta e il pinot grigio col sushi, potrebbe essere, ancora.
Altrimenti,prima o poi, sarà il mare spunnatu, almeno per chi è un nuotatore come me, ad esserne l’unica esperienza autentica, quella da fare prima di morire.

(Il bar Paranà, i cani di Mandria e altre cose da ricordare - 101 COSE DA FARE IN PUGLIA ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA DI ROSSANO ASTREMO – letto da Silla Hicks)

lunedì 7 settembre 2009

Il libro del giorno: Le montagne della follia di Howard P. Lovecraft (Newton Compton)

Artista geniale e spietato indagatore del lato oscuro dell’animo umano, Lovecraft è, insieme ad Edgar Allan Poe, il padre della narrativa gotica americana, uno degli autori più affascinanti di tutti i tempi. Le montagne della follia è il suo romanzo più avventuroso, quello dove il genere dell’orrore trova nella dimensione psicologica il luogo da pervadere con un senso di inquietudine sottile e contagioso. Ambientato in Antartide, Le montagne della follia racconta le gesta di una spedizione scientifica alle prese con reperti vecchi di milioni di anni; vestigia di un’antichissima civiltà, scomparsa da millenni, custodite da esseri che, giunti sulla Terra dalle profondità del Cosmo, sono tornati alla vita dopo un lungo periodo di ibernazione. Nel sottosuolo antartico, i protagonisti della vicenda vivranno una serie di avventure da incubo, eventi talmente terrorizzanti da spingere i membri della spedizione sull’orlo della pazzia. Lovecraft, mettendo in scena la sua originale visione del Cosmo, tesse una trama avvincente, catapultando il lettore in un mondo visionario e fantastico dominato dalla paura e dall’orrore.

«Da quel momento in poi, dieci di noi, ma in special modo io e lo studente Danforth, fummo costretti ad affrontare un mondo orrendamente vasto di orrori latenti, che nulla riuscirà mai a cancellare dalle nostre menti, e che avremmo voluto evitare di condividere con il genere umano se solo avessimo potuto.»

"Un romanzo che nonostante il tempo trascorso non ha perso nulla in freschezza di idee e che mette in lettore in uno stato di vera angoscia."

di Pino Cottogni tratto da Fantascienza.com

casa editrice Newton Compton: http://www.newtoncompton.com/index.php?lnk=100

Le montagne della follia di Howard P. Lovecraft, Tascabili Deluxe n. 13, Pagine 192, Euro 9,90

IL PASTO DI BAD TRIP (Shake) di Angela Leucci*

La trasposizione a fumetti del romanzo di Burroghs non è solo un viaggio acido fedele all'originale, ma un classico straordinario da conservare in libreria. Tra “Tropico del cancro” e “Pubblicità per me stesso” magari.William S. Burroghs doveva aver visto “La zona morta” e “Videodrome”, quando decise di affidare a Cronenberg il proprio romanzo più celebre e controverso, “Il pasto nudo”. Qualche anno prima della sua scomparsa, un italiano, il prof. Bad Trip, al secolo Gianluca Lerici, rese la storia di “el hombre invisible” una graphic novel visionaria e surreale, pubblicata nel 1992 da Shake, con una straordinaria prefazione di Fernanda Pivano, scrittrice recentemente scomparsa e traduttrice di quelli che poi sarebbero diventati i classici della Beat Generation. “Quando in Italia è uscito The Naked Lunch è stata una burla – scrive – andavano tutti a ricercare i contenuti pruriginosi, possibilmente col cazzo in mano. In fondo, discendiamo dai canti Fescemnini”. Nel volume di Bad Trip, ciò che manca quasi totalmente sono proprio i contenuti pruriginosi: il disegnatore ha voluto insistere sulla spirale della violenza, sulle contraddizioni della società che sfruttano le debolezze della tossicodipendenza terminale. Il tutto condito con fantastici testi, di un’incredibile pregnanza di significato, ricalcati sui monologhi originali, accentuati da immagini particolareggiatissime, che rendono unico e individuabile lo stile di Bad Trip. Il disegnatore, scomparso nel novembre di tre anni fa, è ancora presente, anacronisticamente e forse in modo incoerente dal punto di vista contenutistico e concettuale, sulle copertine dei libri Mondadori, come quel “Ti prendo e ti porto via” di Niccolò Ammaniti. Leggendo la versione a fumetti de “Il pasto nudo” si ha l'impressione di compiere un viaggio lungo le strane e tortuose pieghe dell'animo umano, all'interno di un incubo atavico che racconta le nostre paure, la nostra solitudine; un libero arbitrio che a volte non porta libertà ma schiavitù. Il libro di Bad Trip è degno di stare tra i classici della letteratura, quelli da cui molti scrittori hanno preso senza restituire nulla in cambio e che, secondo i nostri umori, ci appaiono geniali oppure odiosi.

*redazione Talkink

domenica 6 settembre 2009

Papier Mais di Francesco Randazzo (Fara editore): Il nano

Il nano eseguì una volèe straordinaria, saltò con l’incredibile elevazione di un metro e mezzo, stese il braccio e con la racchettona intercettò il pallo netto dell’avversario, sparandogli la palla giusto in mezzo agli occhi. L’arbitro gridò: “Match!”. I raccattapalle entrarono di corsa in campo reggendo una barella. Il pubblico del Foro Italico era immobilizzato nel silenzio, col fiato sospeso. I raccattapalle staccarono la palla conficcata nel bel mezzo degli occhi dello sconfitto, la deposero sulla barella ed uscirono di corsa, perché non esplodesse in campo. Non appena scomparvero, il pubblico finalmente eruppe in applausi e urla di gioia. Non si udì l’eplosione ovattata nei sotteranei blindati. Il nano vittorioso e saltellante, scavalcò la rete ed andò a stringere la mano dell’esanime avversario. Poi alzò le braccia e correndo si mostrò alle telecamere ed ai flashes dei fotografi. Aveva vinto il torneo. Per un anno ancora sarebbe rimasto il campione. Il pubblico cominciò a defluire ed infine il campo fu deserto. Spensero le luci.
Il cadavere dello scimpanzè fu lasciato a marcire fino a che non rimase soltanto la carcassa ischeletrita.
L’anno successivo, si svolse una nuova edizione del Torneo Internazionale di Tennis ad eliminatorie mortali per categorie subumane, di Roma. Nessuno si ricordava più dello scimpanzè, ma anche quella volta il nano trionfò, uccidendone molti per il bene della società della razza superiore. Dieci anni dopo erano morti tutti i subumani. Allora il Presidente ordinò che uccidessero anche il nano. Fu prelevato da casa sua, una mattina all’alba. Non lo vide più nessuno. Si dice che prima di essere sopraffatto ed ucciso, fosse riuscito a smembrare a morsi tre agenti della Polizia Etnica. Ma forse è solo una leggenda, che noi subumani superstiti ci raccontiamo per consolarci un po’, nel buio delle fognature dove viviamo in clandestinità e paura.

Tratto da: «Papier Mais», racconti su foglietti, Fara Editore, 2006

Un avvertimento al Lettore. Non fare l’errore - comune a tanti, in tempi in cui il contenuto del libro viene misurato nel numero di pagine - di interpretare il genere scelto dall’Autore - il racconto breve - come un tirarsi indietro di fronte ad un struttura più complessa. Nella sintesi di Francesco c’è tutto il sudore di chi riesce a concentrare in poche righe un senso ben più ampio e profondo. Una lotta già combattuta con successo da Autori del calibro di Dick e Ballard. Vi dirò la verità: ho invidiato l’Autore, per quella capacità di mantenere intatto il gusto per la Parola in poche illuminanti righe. E mai il senso di invidia è stato così costruttivo.(Stefano Martello)

Francesco Randazzo è regista e scrittore, soprattutto
di teatro. Ha pubblicato, con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e un romanzo. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di drammaturgia e festival nazionali e internazionali.
Sito: www.myspace.com/ozarzand

Il libro del giorno: Il lupo e il filosofo di Mark Rowlands (Mondadori)

Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana ... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.

"Il lato scimmiesco di noi umani, dice Rowlands, è quello utilitaristico basato sulla macchinazione e l'inganno. Ma addormentato in noi c'è anche il lupo, che ci propone un patto fondato unicamente sulla reciproca lealtà".

di Franco Marcoaldi tratto da L'Almanacco dei Libri de la Repubblica del 5/08/09 p. 40

AUGURIO AL SECOLO STATO di Nunzio Festa












io invece ho dato
un pizzicotto
all'ultimo quinto di novecento


a fine scolatura
in pieno post mietitura
della più forte azione generale
generazione alluvionale
sleale

(dal midollo dei paesi)
loro che quasi tutti presidente


donne e uomini d'un tentativo: rotto


Nunzio Festa è nato nel 1981 a Matera, dove attualmente lavora. Risiede a Pomarico (MT) con la sua compagna. Poeta, narratore, critico; lavora nel campo dell'editoria ed è collaboratore giornalistico. Collabora, inoltre, con siti internet, riviste e quotidiani. Suoi articoli, poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e in varie antologie.Nel 2004 ha pubblicato la sua prima silloge poetica E una e una, mentre nel 2005 la sua prima raccolta di racconti Sempre dipingo e mi dipingo. Diversi i riconoscimenti ricevuti. Nel 2006, il racconto breve "Da dentro la materia" è entrato a fare parte dell'antologia Storie d'acqua dolce (Eumeswil Edizioni). Nel 2007, la silloge poetica "Deboli bellezze" è entrata a far parte della collana curata da Silvia Denti, I quaderni Divini. Nel 2008 ha pubblicato racconti e poesie per diverse case editrici, fra le quali Giulio Perrone editore, LietoColle.

sabato 5 settembre 2009

Voglio dirti di Gianni Tursi (Besa editrice)

Gianni Tursi, giornalista e manager, scrive un libro accattivante e denso, che si lascia apprezzare in ogni sua pagina. Parliamo di “Voglio dirti” edito dalla salentina Besa editrice. In questo libro si parla dell’amore in una Milano (anni ’90) degli affari, spietata, veloce, e superficiale. Il protagonista è il “Dottore”, un ricco squalo della finanza, amato e osannato da tutte le donne, il cui fascino risiede soprattutto in quello sguardo triste e malinconico, da uomo che nella vita sentimentale non ha trovato mai pace, perché in pace con se stesso non lo è mai stato per colpa di quell’eterna corsa nel bruciare i traguardi di una carriera fulminante. E Milano non poteva che essere la città ideale per ambientare una storia come questa, dove l’imperativo categorico del “succesfull living” (con tanto di bella vita, macchine di lusso, campi da golf, e amicizie più che facoltose e più che griffate da Versace in poi) riesce a neutralizzare il tempo della riflessione e della vita. Infatti il “Dottore” si lascia più trascinare dalle amicizie erotiche, come le ama definire, con donne che hanno la vita di un giorno e di una notte, anzi per la precisione una deriva, come scelta esistenziale, del lasciarsi amare piuttosto che amare in presa diretta, come una possibile via di fuga da impegni che il protagonista non può certo assumersi: forse felicemente sposato, forse già padre … In un crescente incalzare di eventi si scoprono le trame e le vite di personaggi, si colgono gli intrecci di amori e situazioni, di rapporti tra uomini, donne, mariti, fidanzati, amanti dove vige nella maggior parte dei casi la legge del 3: ovvero del triangolo amoroso. Non trovo difficoltà a definirla una storia che tiene imprigionato il lettore sino alla fine, che in più di qualche suo passo lascia con il fiato sospeso, e che toglie il fiato il più delle volte: il tempo non basta mai, mai e poi mai e i dialoghi e le relazioni umane, come il più delle volte accade in percorsi esistenziali di questa tipologia, corrono sul filo di e-mail, fax, sms. Fondamentalmente il libro è uno spaccato del mondo della finanza a Milano, intriso di yuppismo, avidità e forse un pizzico di amoralità. Il protagonista è un degno erede del rampantismo degli anni ottanta, che idolatra il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze. È un tipico "self-made man", che si è fatto largo nella giungla della vita, in modo duro e spietato, il tipico “predator”dell'alta finanza, un uomo che vuol essere “larger than life” ma che potrebbe decantare Sun-Tzu come vademecum nella vita e negli affari.

venerdì 4 settembre 2009

Il libro del giorno: Sofia 1973, Berlinguer deve morire (Fazi editore) a cura di Giovanni Fasanella e Corrado Incerti

Il 3 ottobre 1973, al termine di una burrascosa visita ufficiale in Bulgaria, Enrico Berlinguer, da un anno emezzo appena segretario del Pci, ebbe uno strano incidente stradale. Mentre si recava all’aeroporto di Sofia per rientrare in Italia, proprio su un cavalcavia, la sua auto venne investita da un camion carico di pietre. Un provvidenziale palo della luce impedì che la macchina precipitasse dal ponte. Berlinguer se la cavò con qualche graffio, ma il suo interprete morì sul colpo e gli altri passeggeri, due altissimi esponenti del Pc bulgaro, rimasero gravemente feriti. Rientrato in Italia, il segretario del Pci rivelò i suoi sospetti alla moglie Letizia e a un dirigente del partito, il senatore Emanuele Macaluso: non era un incidente, ma un attentato organizzato dai servizi bulgari per conto dei sovietici. Sul’episodio calò subito il segreto. E soltanto 18 anni dopo, nell’autunno del 1991, Macaluso decise di rompere il silenzio rilasciando una clamorosa intervista a Panorama. Ci furono polemiche e smentite da parte di molti dirigenti del vecchio Pci. Ma la vedova di Berlinguer, la signora Letizia, confermò la tesi di Macaluso. Due cronisti di Panorama, Giovanni Fasanella e Corrado Incerti andarono in Bulgaria per indagare e pubblicarono sul settimanale i risultati delle loro ricerche. Qualche anno dopo, quell’indagine, arricchita di nuovi importanti particolari venne pubblicata in un libro: “Sofia 1973, Berlinguer deve morire”, uscito dalla Fazi editore nel 2005. Fu un incidente o un attentato? E soprattutto, chi era Enrico Berlinguer, quali conseguenze poteva provocare la sua politica nei delicati equilibri internazionali dell’epoca? Ripercorreremo insieme il filo di quell’inchiesta.

"Fasanella e Incerti sono andati a indagare in Bulgaria. E hanno raccolto una serie di indizi che giustificano ampiamente i sospetti"
(Indro Montanelli, "il Giornale", 11 novembre 1991)


"E’ un vero thriller politico, vero perché fondato su fatti realmente accaduti e qui ampiamente documentati"
(Giovanni Valentini, La Repubblica, 4 giugno 2005)


"L'intera storia del Pci dovrà essere riconsiderata alla luce di queste rivelazioni(...)Oggi non possiamo più dubitare si volesse uccidere Berlinguer(...)Gli autori del libro sono stati bravissimi nel raccogliere informazioni e prove"
(Piero Melograni, Il Sole24ore, 19 giugno 2005)


"Il libro si fa leggere con la tensione, e la passione, di un thriller politico. La documentazione è ricca e densa, se non di prove, di indizi inquietanti, la scrittura è incalzante: lascio volentieri al lettore il piacere di scoprirle"
(Paolo Franchi, Corriere della Sera, 2005)


"Un libro asciutto e denso di fatti"
(Massimo Caprara, il Giornale, 11 luglio 2005)

Quadrilogia del moto verticale. Intervento di Antonio Meucci















Per me il linguaggio è tutto, tranne Dio. Volevo realizzare qualcosa che avesse una consistenza metafisica, misteriosa ed è per questo che i personaggi della Quadrilogia del Moto Verticale non pronunciano parola. In questo senso, l’influenza estetica più forte è stata quella di un altro cortometraggio, Film (1964) di Samuel Beckett. L’idea primigenia prende spunto da quattro frasi-aforisma che a partire dal 1995 catturano la mia attenzione. La scommessa è quella di tradurle in quattro brevi sintetici filmati, trasferire così un concetto, dalla parola scritta all’immagine in movimento, senza la ridondanza di alcun dialogo. Le frasi in questione arrivano dall’artista Merz “se la forma scompare la sua radice è eterna”, dallo scrittore Guénon “ciò che è dissipazione nella sostanza è una condensazione nell’essenza”, dall’astronauta Gagarin “vista dallo spazio la terra è blu” e dal filosofo Von Hofmannsthal “la profondità va nascosta. Dove? Alla superficie”. Per ciascun episodio della quadrilogia il "movimento verticale" segna lo scarto da un'iniziale consuetudine ad un evento imprevedibile, così avviene con la caduta di gocce d'inchiostro - Trans, con l'affiorare dei colori dal fondale del mare - Opera al Rosso, con l'alternanza della segnaletica luminosa di un semaforo - L’inizio di una via, con la lettura di alcuni fotogrammi organizzati secondo la struttura di un cruciverba - L’enigma della mia Settimana. La realizzazione di questo lavoro sperimentale dura quattro anni (1995-1998), viene lievemente rimaneggiato 10 anni più tardi, senza pur toglierne il carattere analogico del suo tempo. Quelli erano anni in cui si sperimentava alla cieca. I mezzi erano poveri confrontati con quelli di oggi. Mi sento di appartenere a quella generazione di filmmaker che ha iniziato a far palestra-video con l’idea poi di approdare un giorno alla pellicola 35 mm. Sta di fatto che la mia generazione col video ci si è incallita, vista l’imprevedibile rivoluzione della tecnologia digitale. Quadrilogia del Moto Verticale è il mio esordio, era l'unica maniera con cui avevo voglia di iniziare a fare cinema.
Io cerco un cinema del silenzio. Ci sono cose che “non sono più” se le si fanno “essere” dicendole… tentiamo allora con le immagini.

LE SINOSSI DEI QUATTRO EPISODI


Trans (ep. 1)


Un vecchio, seduto ad un tavolo, legge un libro. Terminata la lettura, estrae da un cassetto dei lunghi chiodi. Si avvertono dei colpi, poi il silenzio. Il vecchio si alza, va via, lasciando il libro trafitto al tavolo. Le punte dei chiodi cominciano a gocciolare inchiostro. Il liquido, raccolto da un recipiente, cresce di livello finché una mano di bambino vi attinge per iniziare a scrivere su dei fogli bianchi sparsi a terra.

Opera al Rosso (ep. 2)


Nei fondali del mare vive un pittore. Durante l’esecuzione di un quadro, si accorge della difficoltà nel fissare il colore sulla tela: il nero, infatti, si stacca e si diluisce nell’ambiente acquatico. Il pittore non rinuncia e riprova con un altro colore, il rosso, ma anche questo tentativo risulta infruttuoso. Intanto (a sua insaputa?) i colori salgono in superficie combinandosi sullo specchio d’acqua secondo il disegno che era nelle sue intenzioni.

L’inizio di una Via (ep. 3)


Notte fonda. Un uomo, a bordo di un Ape 50, viaggia per le strade di una città. Dopo un lungo e ininterrotto tragitto, trova un semaforo che lo costringe a fermarsi. L’uomo attende all’incrocio finché il semaforo diventa blu.

L’enigma della mia Settimana (ep. 4)


Nei cruciverba ci vogliono delle parole orizzontali per creare delle parole verticali. Le verticali sono dei fili invisibili che mettono in comunicazione parole tra loro lontane per intenzioni e per significato. Alla stessa maniera si può strutturare un cruciverba per immagini: si mettono tante “strisce” di sequenze filmiche una sotto l’altra, parallele, per poi provare da un fotogramma di quella più in alto a scendere verticalmente, creando una nuova enigmatica sequenza filmica


Antonio Meucci, regista pisano, romano di adozione, collaboratore - nel passato più recente - di trasmissioni televisive quali Chi l’ha visto? e La Macchina del Tempo, ha all’attivo numerosi commercial e documentari. Con Quadrilogia del Moto Verticale viene selezionato al B.J.C.E.M. di Torino (1997), al N.I.C.E. Festival di New York e San Francisco (2000) e premiato in numerosi festival nazionali. Con Saluti da gli viene conferito il primo premio al festival Videominuto Pop Tv di Prato (1999). Negli ultimi anni ha avuto molteplici collaborazioni col regista cinematografico Eugenio Cappuccio (ex assistente Fellini) e col produttore Roberto Gambacorta (Riofilm). Dal 2005, parallelamente al suo lavoro di regista, si occupa di didattica cinematografica presso le scuole medie superiori e presso le strutture sociosanitarie. In cantiere, tra le altre cose, un cortometraggio di animazione ispirato ad un film di Truffaut e un video-happening con i Radiohead.
E’ in cerca di sponsor per la realizzazione del suo primo film lungometraggio.

http://www.antoniomeucci.it/

giovedì 3 settembre 2009

Anteprima: Lovesickness di Michele Caccamo a ottobre per Gradiva Publications



"e ci riusciremo
senza altro amore
altra equivalenza
senza aspettarci nulla
campati lontani
in una tolda di gelo
a baciarci
con una bocca trasparente
un accordo nelle mani"

Lovesickness (Gradiva publications N.Y.) Ott. '09

L’Islam in Italia di Roberto Muci (Congedo editore). Rec. di Angelo Petrelli

















È pensiero comune nell’occidente democratico che per risolvere il problema del terrorismo sia essenziale il dialogo con l’Islam, in particolare con quello “moderato”, approfondendo la conoscenza storica della religione musulmana. Proprio perché l'ignoranza è terreno fertile per i fondamentalismi, per lo scontro tra le culture e per l’odio, la pubblicazione del saggio “L’islam in Italia” di Roberto Muci è stata fortemente voluta dall’istituto di culture mediterranee della Provincia di Lecce. Il volume, edito da Congedo (pp. 430, 60 euro), ha per sottotitolo “Profilo storico e teologico. Possibilità del dialogo interreligioso. Problematiche dei flussi migratori”. Estremamente curato a livello grafico, il testo riporta alla luce delle stupende illustrazioni, dalle serigrafie alle stampe, dagli affreschi alle miniature di edizioni antiche figlie del mondo islamico classico o provenienti da quello delle altre religioni abramitiche, l’ebraismo e il cristianesimo. Le tavole sono poste a corredo della complessa lettura teorica del prof. Muci.
Il testo, illustrando la dimensione storica e teologica dell’Islam (anche riferendosi alle sue comunanze con il Cristianesimo), delinea le tappe di una lettura parallela dei due topoi etico - religiosi. Come in precedenza accennato, il tema del dialogo è al centro di questa trattazione teorica, poiché solo attraverso una comprensione esatta e reciproca le due confessioni, così come i paesi che di queste professano la fede, possono pensare a una comune via che conduca alla pace. Il testo si divide in tre parti, che corrispondono ad altrettante linee programmatiche: necessità di conoscere l’islam; possibilità di dialogo tra cristianesimo e islam; aspetti socioculturali dell’Islam e presenza in Italia. Dando un’occhiata a dati e fatti che ci hanno preceduto, bisogna ricordare che quanto a numero di fedeli sparsi per il mondo, l'Islam (con tutte le sue varianti e divisioni) segue soltanto il Cristianesimo, anch'esso da intendersi nella sua globalità composta di cattolici, protestanti, ortodossi, etc etc. I numeri sono peraltro oggetto di disputa, variando tra il miliardo e 200 milioni e il miliardo e mezzo di devoti. Se in un lontano passato, con “le crociate”, l’occidente si era reso responsabile di continue aggressioni nei confronti del mondo islamico, nel ventesimo secolo, con la dichiarazione “Nostra Aetate” del 1964 il concilio ecumenico Vaticano II aveva teso una mano nei confronti dell’Islam, nella speranza che il “dialogo”, invece della contrapposizione, potesse favorire un’evoluzione in senso moderato della religione fondata da Maometto, caratterizzata per un atteggiamento di forte aggressione nei confronti dell’Occidente Cristiano e così della Chiesa Cattolica.
Mezzo secolo dopo, tale storica dichiarazione sembra poca cosa. Le speranze concilianti si sono purtroppo rivelate infondate. Immergendoci nell’attuale, l’islamismo si caratterizza per una tensione sempre più radicale ed espansiva: le minoranze cristiane subiscono spesso persecuzioni pesanti e sanguinose, dall’Arabia Saudita, all’Indonesia, dal Sudan al Pakistan. I musulmani non nascondono le loro mire di conquista sullo stesso Occidente, con proclami, minacce, atti terroristici. Se i modi e le strategie dell’islamismo cosiddetto “moderato” differiscono da quelli dell’islam degli integralisti e da quello di matrice terroristica, le motivazioni ultime appaiono le stesse: all’assoggettamento di tutto il mondo all’Islam. Questo saggio del prof. Muci è, al contrario, un tentativo di conciliare delle istanze, quelle cristiane e quelle musulmane, spesso lontanissime.
La prefazione al testo è del Prof. Gino Pisanò, fondatore e direttore della collana di studi sulla civiltà mediterranea πόντος (Pontos), docente di Storia delle biblioteche dell’università del Salento. Nel volume è presenta anche un intervento dalla dottoressa Maria Rosaria De Lumé, attuale presidente dell’istituto di Culture Mediterranee, che con queste parole inquadra il lavoro di Muci chiarendone la motivazione più intima: «Conosciamo l'autore da tempo, ne apprezziamo la profondità degli studi, la passione con cui affronta certi temi, il contributo che la sua ricerca dà allo sviluppo del dialogo interreligioso. Sappiamo bene come i suoi lavori siano apprezzati anche a livello internazionale. Quasi doveroso, quindi, per L'Icm, contribuire a diffondere quelli che sono i principi su cui si deve fondare un dialogo tra culture e religioni: la conoscenza dei problemi, la consapevolezza delle differenze. Due condizioni indispensabili per evitare equivoci che derivano spesso da interpretazioni diverse di una parola identica». Roberto Muci, originario di Maglie, è dottore in Storia del pensiero sociologico presso l’Università di Trento. Tra le sue precedenti pubblicazioni ricordiamo: “Religione e Società contemporanea” (Lecce 2002) e “La dottrina sociale della Chiesa nella scuola dell’autonomia” (Casarano 2003).

powered by Nuovo Quotidiano di Puglia

mercoledì 2 settembre 2009

Nadan di Dario Congedo












Si chiama “Nadan” il progetto firmato dal musicista salentino Dario Congedo, vincitore del PercFest Memorial Naco come solista, alla ricerca di un suono sfuggito all’impostazione jazz per approdare ad atmosfere più oniriche che rivelano una straordinaria scelta di campo, una presa di posizione tutta musicale. Lo stile di Congedo, che seppur giovanissimo vanta collaborazioni coi grandi nomi del panorama musicale contemporaneo nonché una formazione che l’ha visto confrontarsi coi maestri statunitensi, sorprende per il precipitato di immagini e luoghi suggeriti dal suo sound che si impone all’attenzione rompendo i canoni concettuali del ruolo standard della batteria e delle percussioni. Un processo di rivelazione che porta lo strumento a un livello più ampio, liberandolo dell’armatura. E’ questo lo spirito che anima i brani inediti eseguiti da “Nadan”:
Giorgio Distante (trumpet, electronics
Raffaele Casarano (alto & soprano sax, electronics)
Marco Bardoscia (double-bass, electronics)
Dario Congedo (drums, electronics)


Il 6 settembre a Lecce, nell’Anfiteatro Romano alle ore 21.00, il quartetto diretto da Congedo, costituirà l’evento speciale nell’ambito dell’edizione 2009 di “Mediterranea”, per l’occasione la formazione ospiterà i musicisti William Greco (pianoforte) e Carla Casarano (voce). Un evento imperdibile, la fusione tra il suono degli strumenti tipici del jazz con l’elettronica live intesa come mood nato dalla sinergia del gruppo.

Creatività e pensiero laterale di Edward De Bono (BUR). Rec. di Maria Beatrice Protino

«Spesso le persone dotate di una grande intelligenza non si rivelano dei buoni pensatori… L’intelligenza è una potenzialità, il pensiero invece è un’abilità»: a sostenerlo è Edward de Bono, scrittore maltese, laureato in medicina e psicologia e noto in tutto il mondo per i suoi studi sulla creatività e sul concetto da lui stesso sviluppato del cd. "pensiero laterale" - ormai entrato in uso nel linguaggio comune e incluso anche l'Oxford Dictionary. Sull’argomento ha scritto moltissimi libri, tradotti in numerose lingue; ha insegnato in prestigiose Università come quella di Cambridge, Oxford, Harvard e Londra e collaborato con aziende del calibro della IBM, della Total, della Montedison, della Coin. Il "Pensiero Laterale" è un insieme di tecniche che permette, dopo un breve addestramento, di iniziare a produrre una notevole quantità di idee.
E' un modo di pensare che cerca soluzioni a problemi che sembrano irrisolvibili attraverso metodi non ortodossi o usando elementi che normalmente verrebbero ignorati dal pensiero logico. Le metodologie avanzate del "Pensiero Laterale" permettono di andare oltre il "Brainstorming" per consentire a chi ne sa fare uso di creare nuove idee. Ma come possiamo produrre idee nuove? Lo studioso distingue due modi di pensare: il pensiero logico o verticale, che ci è stato insegnato sin dai tempi della scuola e che parte da dati certi, da modelli fissati in una sorta di codice e giunge alle sue conclusioni seguendo un procedimento graduale e lineare e il pensiero laterale, che incorpora le proprietà del pensiero associativo e ci invita a dubitare della realtà, osservandola da una diversa prospettiva per trovare soluzioni alternative e stravolgere i vecchi modelli. «Il pensiero laterale è in stretta relazione con l’intuizione, la creatività e lo humor».
De Bono afferma che se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti ma limitati dalla rigidità dei modelli logici. Quando si richiede invece una soluzione veramente diversa e innovativa si deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali. Si deve perciò abbandonare il pensiero verticale, cioè quello basato sulle deduzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo. L'esempio classico di una persona che usa il pensiero laterale è il personaggio di Sherlock Holmes, il detective nato dalla fantasia di Sir Arthur Conan Doyle. La sua straordinaria capacità di trovare la soluzione a problemi altrimenti insolubili era – al contrario di quanto faceva il dott. Watson - dovuta alla sua abilità nell'osservare i fatti di una situazione senza fare presupposti iniziali: egli spezzettava gli elementi di un problema o di una situazione e li riordinava in un modello apparentemente casuale, per arrivare a una visione diversa della situazione e quindi a una possibile soluzione.

martedì 1 settembre 2009

BUNKER BATTE SCARPA 3 A 0 (STABAT MATER di Tiziano Scarpa edito da Einaudi, letto da Silla Hicks )

L’Italia non è il mio paese, no. Ma è quello in cui vivo, anzi quello in cui finora ho vissuto più che in qualsiasi altro, anche più che nel mio. L’Italiano non è la mia lingua, no. Ma è quella che uso di più, che devo usare, se voglio farmi capire. E se voglio leggere, anche, perché i libri in tedesco sono difficili da trovare, e costano cari. Così, quello che è edito in Italia e in italiano è quello che leggo, per lo più. Anche se, quasi sempre, si tratta di traduzioni: di Roth ho solo The Human Stains in inglese, di Palahniuk niente. So che qualcosa manca, perché tradurre è difficile. Ma il grosso, comunque, c’è. In qualsiasi libreria – o bancarella: è lì che compro quasi tutto, alle feste patronali, ai mercatini – si può trovare il mondo. È per questo che non me lo spiego. Voglio dire: se l’Italia fosse una bolla di vetro sigillata dopo Manzoni e la Mazzucco, ok: ci sarebbero ragioni che giustifichino perché Hemingway e Kureishi e Ishiguro ne restano fuori, e tutto resta com’è, non si evolve, non cresce, non si corrompe, insomma: non va da nessuna parte. Perché nel 2009 qui si sia ancora troppe volte fermi, a rileggersi e riscriversi addosso, e questo vale anche quando il risultato è un prodotto garbato, gentile, corretto nella forma e misurato, in una parola difficilmente criticabile, perché non è questo (misurato, garbato, gentile, difficilmente criticabile) che un buon libro deve essere, almeno secondo me, che è vero che non sono un critico né un cattedratico né un cazzo, ma sono uno che legge, per dio, e i libri sono fatti per essere letti, sono fatti per lasciarti qualcosa, non per lasciare tutto – te incluso – com’è già. E per farlo devono tagliare, strappare, lacerare e ferire, devono sradicarsi e sradicarti, portare macchie di sudore e sangue, figli bastardi di un mondo intero per quello che era mentre loro nascevano, tentativi per prova ed errore, specchio di quello che c’è attorno, di quello che c’è stato, e soprattutto di quello che non c’è, ancora.
Vaffanculo al packaging, alle presentazioni, alle prefazioni e ai premi. Queste sono cianfrusaglie, e chiunque abbia provato a scrivere lo sa, e che lo ammetta o no è un’altra storia: sa che è il Mc circo necessario a vendere, ma un libro non è il gadget di un happy meal, dovrebbe essere una finestra, un diario, la cicatrice di un arto che ti è cresciuto mentre dormivi. È ovvio che per scrivere è necessario leggere, e studiare, e lavorare di cesello e tutto il resto, ma questo è cosa diversa che restare sottocosta perché non si ha il coraggio di nuotare al largo. Il mare è lì, e si hanno due braccia e due gambe. Se si resta nell’acqua putrida di alghe, non ci si può lamentare che non si vedano i soffioni delle balene. Così, niente da dire su questo libro, né sulla bella foto in copertina che fa tanto Fabrizio Ferri e i suoi corpi volanti, è scritto bene e si legge con facilità, ci sono ripetizioni di parole e righe che formano il ritmo come un ritornello, una musica, Vivaldi o no non so dirlo, di classica davvero non so niente. E alcune immagini funzionano, il parto nella latrina, i gattini affogati sotto la grondaia, nei punti migliori s’intravede il dolore che dovrebbe permearlo e invece è continuamente smussato, controllato, una partitura senza sbavature, così che il finale è davvero colpo di scena, ma nel senso di cosa assolutamente incredibile e incongrua, non meno di uno sbarco di UFO che cantano we are the world. La fanciulla introversa, timorata, che tranne in un caso (quando cerca di salvare i gattini) si limita e elucubrazioni mai troppo ardite (anche quando dialoga con la propria morte, lo fa gentilmente, e se le propone di ammazzare una suora l’accenna soltanto), la ragazzina grigia che trova conforto solo nel violino e si spaventa dell’embrione di qualcosa che potrebbe provare per il prete musico e ne fugge via, la piccola orfana che ammette di non essere curiosa, che continuamente si autocensura per restare nei confini del decoro che le è stato imposto da sempre, nell’ultima pagina e mezzo si scopre avventuriera travestita da uomo sulle rotte orientali. Fine.
Lo ripeto: è scritto bene. Curato, colto a tratti, qui e lì sprazzi di una Venezia di sangue e nebbia, la scena del mattatoio, uccidere l’agnello per ricavarne dalle budella corde da violino.
Un’educazione – sentimentale e non – che passa attraverso la conoscenza di un mondo violento, dentro e fuori l’Ospitale. Un mondo in cui, prima, i bambini di nessuno venivano affogati nei canali. In cui l’acqua è rossa di sangue. Ma tutto è ovattato, attutito, si scappa lontano dal tanfo e anche le ribellioni sono cerini, mai incendi.
Il parto nella latrina ricorda la nascita al mercato del pesce con cui si apre Profumo (e quella di Leatherface nel mattatoio, ma questo non credo sia un riferimento voluto) ma il resto è una storia di tristezza, non di tragedia. Insomma: la vita è brutta, ma devi prendere le cose come vengono, il motto di Everyman (ma quello è Roth). Certo, non si può pretendere dall’epoca un’eroina cazzuta, incazzata e violenta, una che affondi coltelli nelle suore assassine di gattini e seduca, consapevole Lolita, il giovane prete per diventare grande. Ma Cecilia – nome manzoniano di bimba morta di peste – è così decorosa e timorata e dolce che davvero non si può credere prenda in tutti i sensi il largo. La prigionia nell’Ospitale, poi, i meccanismi di branco che sicuramente c’erano, che ci sono sempre, negli alveari e nelle prigioni e sotto le armi, restano sullo sfondo, se ne sa poco o nulla. Niente risse, né violenze fisiche o verbali, niente di niente. Un cimitero, sì. Il cimitero dei senza nome. E la ricerca della madre stessa resta aspirazione, sogno, illusione. Certo, quando Cecilia getta in mare il pezzo di disegno che doveva essere il suo segno di riconoscimento, quando rinuncia alla speranza di ritrovarla, significa che finalmente ha smesso di cullarsene, che finalmente va oltre. Ma non si capisce dove possa andare, tranne che verso un generico “futuro”. È un lieto fine, sì. Ma resta sospeso, come quello delle favole, e vissero felici e contenti.
Ed è un peccato, era un libro che poteva essere, con un po’ più di coraggio, con un po’ meno attenzione a cosa ne avrebbero pensato/scritto/detto, un po’più fuori le righe e gli schemi, un po’ più sgradevole/duro/vero. Invece di un acquarello, un affresco, tutto lo spazio di un muro e anche oltre, in cui ci fossero rabbia e sofferenza e urla, anche, perché chi soffre e odia grida, non sussurra. Non prega, maledice. E pazienza se sveglia qualcuno. C’è una cosa, di Bunker, che non ha studiato, che è entrato in riformatorio a 8 anni, che scrive da padreterno e ha vinto l’ammirazione di Tarantino, che parla degli stessi temi, l’abbandono e la prigionia e la ricerca di sé, in cui ci sono gli stessi personaggi, il giovane innocente e l’adulto che decide di proteggerlo, che è così. Si chiama Animal Factory, fabbrica di bestie, e finisce nello stesso modo, con l’evasione del protagonista. Ma è tutt’altra cosa, è pugno nello stomaco, ferita di coltello, è sangue vero, non ketchup nell’acqua. È quello che questo libro poteva essere, un capolavoro. Certo, è più sbavato, sì. A tratti, avresti voglia di chiuderlo, perché fa male, fa male pensare che ci siano posti così, dove la vita non conta, dove si è numeri, dove tutto è insozzato, anche l’amore. Dove si uccide e si muore per niente, perché tanto non fotte un cazzo a nessuno. Posti che esistono, quello del libro è un carcere, San Quintino. Ma ci sono anche altri posti in cui si diventa bestie per restare vivi, orfanotrofi, brefotrofi, lager. Posti in cui si è spersonalizzati, privati dell’umanità e di tutto il resto Posti come l’Ospitale doveva essere. Inferni. Luridi, puzzolenti, indecenti, perché se non si è persone non si è più niente che non è corrotto. Nel senso di marcescente. Morto. Peccato. Peccato che in Italia non si abbia il coraggio e l’irriverenza di raccontare. Peccato che si cerchi di scrivere bene. Che ci si fermi sulla soglia. Per non lasciare orme di fango. E vincere premi.

IN DISTRIBUZIONE IL TERZO NUMERO DI «PUGLIALIBRE. LIBRI A KM ZERO»

E’ quasi intereramente dedicato al Festival della Cultura Ebraica in Puglia il terzo numero del magazine gratuito «PugliaLibre. Libri a km zero» in distribuzione da oggi in una serie di librerie e biblioteche della Puglia. Il free-press, supplemento della rivista on line www.puglialibre.it, valorizza in questo numero alcune recenti pubblicazioni sul tema della presenza dell’ebraismo in Puglia e pubblica un’intervista esclusiva a Francesco Lotoro, responsabile culturale della Sinagoga Scholanova di Trani, pianista e scrittore. Un’ampia recensione è dedicata al volume Fonte di ogni bene, che racconta la storia della comunità ebraica di San Nicandro Garganico, mentre tra gli scrittori pugliesi che pubblicano fuori regione si segnala questo mese il romanzo d’esordio della molfettese Valentina Pansini sul precariato nel mondo della scuola. Tra gli altri contributi, il resoconto della presentazione del volume su Banche e Mezzogiorno di Marina Comei, un bilancio delle manifestazioni di promozione della lettura di quest’estate in Puglia, e la pubblicazione di alcuni stralci del reportage dell’archeologo francese François Lenormant sulla Daunia di fine Ottocento.
La rivista sarà distribuita presso il gazebo allestito in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, a Trani, e come di consueto anche presso la Teca del Mediterraneo – Biblioteca del Consiglio Regionale della Puglia. Per l’elenco completo dei punti di distribuzione, consultare il sito Internet www.puglialibre.it.

I prodotti qui in vendita sono reali, le nostre descrizioni sono un sogno

I prodotti qui in vendita sono per chi cerca di più della realtà

Cerca nel blog

Galvatron - il tiranno folle

 PUBBLICITA' / ADVERTISING Galvatron è una figura complessa e affascinante all'interno del franchise Transformers. La sua esistenza ...